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Tanzania, la stampa ai tempi di Samia, prima presidente donna: sociale, libera e africana

Dall'ombra del predecessore Magufuli ai nuovi media, il nuovo Capo dello Stato Samia Suluhu Hassan alla prova

Pubblicato:14-05-2022 12:03
Ultimo aggiornamento:14-05-2022 13:16

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Dal nostro inviato Vincenzo Giardina

(Crediti foto: Marco Palombi)

MBEYA (TANZANIA) – Sul banchetto di legno l’edicolante indica l’eterno derby calcistico di Tanzania, i gialloverdi dello Yanga contro i biancorossi del Simba. La prima pagina degli altri quotidiani invece è politica, a caratteri cubitali e a più colonne. Soprattutto, a più voci. “Ne abbiamo per tutti i gusti, puoi scegliere quello che ti interessa di più, dallo sport all’economia” sorride Mariam, la signora del banchetto. Tra i giornali più venduti c’è il Guardian, che titola su un appello dei deputati a investire nella formazione degli insegnanti e sull’acquisto di farmaci contro l’Aids dall’Uganda. Apre invece con il caro-benzina Kiongozi, il settimanale cattolico: lo trovi dappertutto anche ai tempi di Samia Suluhu Hassan, musulmana, prima presidente donna della Tanzania.


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Lei, il capo dello Stato, lo ha detto: bisogna promuovere la libertà dei media, stimolando la crescita di piattaforme giornalistiche locali che non si limitino a rilanciare contenuti internazionali ma propongano servizi originali. Centrati magari sulle sfide dello sviluppo sociale, in un Paese di 60 milioni di abitanti, tre volte più grande dell’Italia, con un tasso di povertà che secondo la Banca mondiale fatica a scendere sotto il 27 per cento.

Ex vice-presidente, Hassan ha assunto la guida della Tanzania nel marzo 2021, alla morte del suo predecessore e compagno di partito John Magufuli. “Lui era socialista, nazionalista e soprattutto popolare, sia per l’impegno contro la corruzione e le disuguaglianze che per la rivisitazione dell”ujamaa’, un concetto swahili che pone al centro la comunità” dice padre Furaha Ntasamaye, un sacerdote responsabile di Caritas che incontriamo nella città di Mbeya. “Con il passare del tempo la nuova presidente ha però saputo fare scelte autonome, accettando il confronto con l’opposizione e cercando di attirare investimenti dall’estero“.

Tra le promesse di Hassan c’è anche la riforma del Media Services Act, una legge sulla stampa approvata nel 2016, durante il primo mandato di Magufuli. L’obiettivo sarebbe coinvolgere editori e giornalisti “per avere norme che proteggano i cronisti e creino più spazio per la libertà di espressione e i media“. Parole, queste della presidente, accompagnate dall’auspicio di una maggiore attenzione dei reporter ai temi di rilievo sociale. “Le nostre piattaforme mediatiche africane dovrebbero concentrarsi sui nostri obiettivi di sviluppo e utilizzare le grandi risorse del continente piuttosto che proporre notizie stereotipate sotto l’influenza di testate straniere” ha detto Hassan, intervenendo a una conferenza nella città di Arusha sul tema ‘Giornalismo sotto assedio digitale’.

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Di una liberalizzazione del dibattito pubblico hanno riferito di recente media sia locali che internazionali. In un servizio dell’emittente Voice of America dal titolo ‘Tanzania, speranza di un nuovo clima per il giornalismo’ è citato Maxence Melo Mubyazi, cronista premiato nel 2021 a New York con l’International Press Freedom Award dopo essere stato arrestato nel suo Paese con l’accusa di aver ostacolato indagini di polizia. Oggi in Tanzania il reporter è uno dei consulenti incaricati di contribuire alla messa a punto della riforma di due leggi che aveva definito “draconiane”, il Media Services e il Cybercrimes Act.

Che sia in atto un cambiamento lo conferma Roland Ebole, un ricercatore dell’ong Amnesty International che monitora la Tanzania. “C’è una nuova apertura” sottolinea, ricordando come a febbraio sia stata revocata la messa al bando di quattro testate, Mseto, Mawio, Mwanahalisi e Tanzania Daima, che erano finite nel mirino per le loro inchieste sulla corruzione. Secondo Ebole, “un’informazione più libera beneficerebbe i cittadini in tutti gli aspetti della loro vita, sia economici che sociali e culturali”.

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