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In Tanzania il centro ‘Kila Siku’: dove riabilitazione vuol dire comunità

Realizzato dalla ong Comunità solidali nel mondo attraverso un progetto con fondi dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), è stato inaugurato nel 2019

Pubblicato:11-05-2022 12:03
Ultimo aggiornamento:11-05-2022 12:34

Kila_Siku
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Dal nostro inviato Vincenzo Giardina

(Foto e video di Marco Palombi)

DAR ES SALAAM (TANZANIA) – Le sorreggono il collo quando si abbandona, poi le carezzano il viso accompagnandola in un movimento circolare. Al fianco di Miriam, 2 anni, c’è la mamma, fasciata in un vestito a scacchi giallo e nero. Si chiama Sifaeri e da due mesi non vive più in riva al lago Vittoria. Un’amica le ha raccontato di questo centro e lei ha deciso di venire qui, lasciando a casa il marito, che di mestiere fa l’insegnante e promette di mandarle un po’ di scellini ogni mese: Sifaeri ha rinunciato al lavoro ed è pronta a tutto per aiutare la figlia, affetta da paralisi cerebrale infantile. Lo fa ogni giorno, “Kila Siku” in lingua swahili, come recita l’insegna all’ingresso di questo “centro di riabilitazione su base comunitaria” alla periferia di Dar es Salaam, la capitale economica della Tanzania.


Il lago Vittoria dista quasi 900 chilometri ma, quando l’amica le ha raccontato dei miglioramenti della figlia, pure colpita da una paralisi cerebrale, Sifaeri non ha avuto dubbi. “Resterò qui almeno fino a dicembre perché le prime settimane ci hanno riempite di speranza” sospira parlando al plurale, seduta su un lettino in sala riabilitazione. “In pochi mesi gli esercizi hanno permesso a Miriam di acquisire un controllo maggiore dei muscoli del collo e di stringere la presa come mai era riuscita a fare”.

Il centro, realizzato dalla ong Comunità solidali nel mondo attraverso un progetto con fondi dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), è stato inaugurato nel 2019. Oggi è gestito dalle Suore di carità dell’Immacolata concezione d’Ivrea. Ad animarlo fisioterapisti, assistenti sociali e terapisti locali, insieme con giovani del servizio civile, esperti e operatori di Comunità solidali nel mondo.

Alcune storie le racconta Tekla Lumatu, 28 anni. Si muove tra i lettini con la sua divisa grigia, quelle delle “community based rehabilitation worker”: più donne che uomini, un po’ attiviste, un po’ psicologhe, tutte formate nel centro, sono il tramite per diffondere la conoscenza delle pratiche corrette nei quartieri e nei villaggi, raggiungendo il maggior numero possibile di persone. Tekla si sposta accanto a una panca di legno per gli esercizi, poi mostra a un ragazzo come guidare il movimento del ginocchio di un piccolo paziente, che è il suo fratello minore.

“Nella maggior parte dei casi i ritardi nello sviluppo sono stati provocati da paralisi cerebrali che si sono manifestate prima, durante o dopo il parto” spiega. “Lavorare qui nel centro e poi presso le comunità a domicilio è impegnativo ma sono contenta perché vedo che sia tanti genitori sia tanti bambini imparano a cooperare, mettendo in pratica i consigli e ottenendo miglioramenti”.

Che sia importante fare squadra lo sottolinea anche Martina Faggion, operatrice di Comunità solidali nel mondo. “C’è attenzione per tutti i momenti clinici, dalla diagnostica al piano riabilitativo personale, che viene aggiornato ogni tre mesi” sottolinea. “L’altro aspetto è quello culturale: ai genitori si chiede di partecipare alle sedute di riabilitazione perché possano acquisire competenze e diventare essi stessi strumento al servizio della comunità”.

Di fronte alla sala, sotto un portico che dà sul cortile, c’è Dora, un’altra mamma. Tiene per mano Knowledge, che ha due anni e mezzo e frequenta il centro da quando aveva pochi mesi. “All’inizio non riusciva a star seduto e aveva un deficit di controllo muscolare che gli impediva anche di tener eretta la testa” ricorda lei. “Grazie alla riabilitazione ha cominciato a gattonare, poi è riuscito ad alzarsi in piedi: guardate adesso”. Knowledge, che in inglese vuol dire “conoscenza”, ha imparato davvero: con l’ausilio di due supporti ortopedici va avanti e indietro, senza fermarsi. A prenderlo per mano ora è suor Angela Jeremiah, la direttrice del “Kila Siku”: “A volte i progressi non sono veloci come si aspettano i genitori” dice. “L’importante è avere fiducia, capire che ci può volere tempo, non abbattersi mai”. 

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