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Uganda, il direttore del Lacor hospital: “Più forti con l’Italia”

Il direttore dell'ospedale di Lacor, Martin Ogwang, parla di salute e prevenzione, ma anche dell'importanza della condivisione e del sostegno emotivo

Pubblicato:22-10-2019 12:04
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:51
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GULU – Salute, prevenzione, diritti e storia tra due mondi: l’Italia e l’Uganda, “legate da una relazione storica molto forte”. E’ un’intervista ampia quella che Martin Ogwang, direttore del St. Mary Lacor Hospital, chirurgo e responsabile del registro cancro di Gulu, rilascia all’agenzia Dire, al termine della prima giornata di screening promossa da Afron – associazione che oggi sarà invece, con il suo team di medici, al villaggio di Amuru.

“Sono in questo ospedale da 28 anni – dice il dottor Martin – e qui al St. Mary Lacor c’è l’esempio del coraggio, della dedizione per gli altri, una storia che ha un grande potere”. Oggi l’ospedale è affidato a Cyprian Opira, Odong Emintone e Martin Ogwang, insieme ad Elio Croce, laico comboniano, “decano” della struttura.


“PREVENZIONE ATTRAVERSO IL DIALOGO CON LA COMUNITÀ”

“Sono molto coinvolto, proprio per il mio incarico, nella diffusione di una conoscenza del cancro e soprattutto nel dialogo con le comunità per incoraggiare una maggiore consapevolezza di questa malattia” dice Ogwang. “Siamo molto grati ad Afron per questa campagna, perchè ha portato elementi che prima non avevamo”. Il direttore parla “di un vero e proprio metodo da prendere a riferimento, mediante il quale si possono raggiungere molte donne. Afron dialoga con i referenti della salute di ogni villaggio per parlare a tutta la comunità. È cosi’ che riescono a realizzare una grande mobilitazione. Ricordo anche il progetto dei giovani 3C che hanno realizzato rappresentazioni anche oggi per parlare alle persone e convincerle a seguire lo screening per arrivare alla diagnosi precoce. Afron viene con un team di esperti che riescono anche a fare formazione. Usiamo questo modello e lo ottimizziamo”.

VIDEO | Uganda, Afron va in radio e chiama le donne alla prevenzione

Non sono esclusi da questo programma “né gli uomini, che devono supportare le donne, né le giovanissime che devono fare il vaccino contro il papilloma virus”. Ogwang parla di salute e prevenzione, ma anche dell’importanza della condivisione e del sostegno emotivo. “Ricordiamo anche il ruolo delle survivor dell’associazione Uwocaso (Uganda Women Cancer Support Organizaton) che supportano altre donne e lavorano con loro”.

Il direttore ribadisce l’importanza della prevenzione e l’opportunità di arrivare a una diagnosi precoce, “determinante in tumori infantili come il linfoma di Burkitt. Vorremmo implementare programmi cosi’, ma le risorse ci limitano”. Vengono a curarsi al Lacor anche da zone lontane da Gulu: “Dal West Nile, dalla terra degli Acholi e vorremmo raggiungere tutte queste persone. La radio ci aiuta, ma le risorse non sono abbastanza”.

 



















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“CHI NON È VACCINATO, NON VA A SCUOLA”

E’ stupito Martin Ogwang quando sente parlare di resistenza alla vaccinazione o del fenomeno occidentale dei ‘no vax’. “La legge del governo ugandese – che prevede l’arresto per i genitori che non vaccinano e fino a sei mesi di prigione – è molto severa e anche i responsabili dei distretti locali hanno una posizione molto forte” dice il direttore. “La non vaccinazione o la resistenza a vaccinarsi credo e crediamo sia una cosa negativa. È così che si contagiano altre persone. Chi non è vaccinato non può entrare in una scuola, può rimanere solo a casa propria. Non si può accettare che un non vaccinato vada in giro a contagiare gli altri. A chi si rifiuta, giusto qualche gruppo con condizionamenti religiosi bisogna spiegare il beneficio della vaccinazione. Molte malattie come la polio sono scomparse così. I vaccini maggiori si fanno entro il primo anno di vita, a parte quello per il papilloma. I genitori devono portare a vaccinare i propri figli. Anche qui abbiamo un centro sempre attivo tutti i giorni, tranne le domenica. Ci si può vaccinare in ogni singola comunità – ha spiegato – e prevediamo anche postazioni mobili per agevolare le persone”. Il direttore continua: “Per accedere a scuola bisogna mostrare la scheda personale dei vaccini e già dalla primaria iniziamo a spiegare queste cose. Chi non ce l’ha, non entra”.

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CURE PALLIATIVE, L’ESPERIENZA DEL LACOR

A proposito di cancro e fine vita, al Lacor, che è un riferimento in tal senso, non si può non parlare di cure palliative. “In caso di cancro molto avanzato – dice il direttore del Lacor – ricordo il reparto di cure palliative che abbiamo qui”. È importante “far diminuire i dolori, aiutare i pazienti ad organizzare la loro vita“. Non c’è spazio per parlare di eutanasia qui, innanzitutto perchè “la legge la vieta”. E a proposito della richiesta di morire che in Italia negli ultimi mesi ha scatenato dibattiti e una sentenza della Consulta, Martin Ogwang ci aiuta a capire perchè “mentre le persone accettano e chiedono le cure palliative, qui nessuno chieda di morire. Come medico e per il ‘background’ culturale dico che non è accettabile”. E lo spiega riportando un rito del proprio villaggio: “Se qualcuno era malato terminale, tutta la comunità lo supportava, portava cibo, non lo lasciava solo, dava conforto e incoraggiava l’uomo a dividere la terra o i beni per non far litigare i figli. Si aspettava e si aspetta il processo che porta la persona a morire”. E’ questa la cultura che ancora c’è qui. Le persone semplicemente chiedono di “vivere il più a lungo possibile” e la fine della vita, quando arriva, viene accettata. Del resto nella cultura religiosa ugandese “gli spiriti di chi non c’è più sono molto importanti e restano a far parte della vita. Chi muore – dice – non se ne va”. Ed e’ un po’ questa la storia del Lacor.

“LAVORIAMO GUARDANDO ALL’ESEMPIO DEI CONIUGI CORTI”

“Questo ospedale la gente lo ha sempre difeso”. Il Lacor e’ fondato su “una storia di coraggio, di sacrificio e di dedizione assoluta. Nessuno puo’ capire fino in fondo il sacrificio dei coniugi Corti che sono sepolti qui”, come quello del dottor Matthew Lukwiya che riposa anche lui nel giardino dell’ospedale sotto il grande albero di mango che fa ombra sulle tombe di questi ‘eroi moderni’. “Non si puo’ spiegare perche’ – dice il direttore del Lacor – mentre tutte le ong fuggivano altrove, tra ebola e guerra, i coniugi Corti siano rimasti qui”. E’ un esempio “powerful”, potente, come lo ha definito piu’ volte. “C’e’un’amicizia profonda tra Italia e Uganda” che Ogwonge riconduce anche alla figura di “Daniele Comboni che iniziò la strada, a far aprire gli occhi alle persone, portando qui educazione e cure, in un momento in cui la società era molto chiusa”. “Chi lavora qui – sottolinea il direttore – guarda a questi esempi che hanno fatto la storia del Lacor e vale anche per me. Queste persone, pur morte, sono rimaste qui”.

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