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Chi sono Yulia e Dasha, moglie e figlia di Navalny, che ne porteranno avanti l’eredità morale

La moglie di Navalny, Yulia Navalnaya, ha attaccato direttamente Putin per la morte del marito. E la figlia, che studia in California, ha sempre espresso stima per il padre: ecco chi sono le due donne che ora porteranno avanti l'eredità di Navalny

Pubblicato:20-02-2024 16:56
Ultimo aggiornamento:21-02-2024 08:35

yulia navalnaya_dasha navalny
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BOLOGNA – Ha denunciato pubblicamente senza remore l’uccisione del marito da parte del regime russo e attaccato direttamente Putin: “Vladimir Putin ha ucciso mio marito, Aleksej Navalny. Putin ha ucciso il padre dei miei figli”. A dirlo è stata Yulia Navalnaya, la moglie di Navalny morto in carcere in Siberia venerdì 16 febbraio in circostante misteriose. Questa mattina, le autorità russe hanno fatto sapere che il corpo non sarà restituito alla famiglia prima di due settimane, perchè dovranno essere eseguite delle analisi chimiche. Tutto il mondo, però, ha già la sua risposta: Navalny è stato eliminato dal regime, probabilmente utilizzando il Novichok o un altro veleno nervino non tracciabile.

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INSIEME DA 20 ANNI

Quarantasette anni, Yulia Navalnaya si è laureata in Relazioni economiche internazionali, ha studiato anche all’estero e ha lavorato in una banca della capitale russa. Navalny e Yulia stavano insieme da più di 20 anni, una vita insieme. Si erano conosciuti durante una vacanza in Turchia, nell’estate del 1998. Si sposarono nel 2000 e hanno avuto due figli: Dasha (Daria), che oggi ha 23 anni, e Zakhar, che ne ha 16. Negli anni di attività politica del marito, diventato pubblicamente il principale oppositore del regime di Putin, lei è sempre stata al suo fianco, anche in occasioni di manifestazioni pubbliche, appoggiando le sue battaglie. È stata al suo fianco tutto il tempo anche nel 2020, quando Aleksej Navalny il 20 agosto venne ricoverato d’urgenza per un sospetto avvelenamento (a quanto si capì proprio con il Novichok): si sentì male in volo per Mosca (era partito dalla Siberia) e fu portato all’ospedale di Omsk dopo un atterraggio di emergenza. Il giorno dopo, poi, fu portato a Berlino dove venne curato, proprio su insistenza della moglie. La sua portavoce Kira Yarmysh parlò subito di avvelenamento e la moglie continuò a battersi chiedendo di trovare la verità.


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LUI IN CARCERE, LA MOGLIE A MANIFESTARE PER LA SUA LIBERTÀ

Dopo la lenta e faticosa guarigione, per gli effetti terribili del veleno riscontrati nel suo corpo, nel gennaio 2021 Navalny decise di tornare in Russia, nonostante avesse condanne pendenti: venne arrestato al controllo alla frontiera e non tornò mai più libero. Entrò in carcere per alcune condanne ricevute (per frode e altri crimini che lui ha sempre contestato come false) e poi l’estate scorsa si è aggiunta anche una nuova condanna, a 19 anni, per estremismo politico. Più volte Yulia è scesa in piazza nelle diverse manifestazioni organizzate per chiedere la liberazione del dissidente: “Alexei non ha paura, io non ho paura, ed esorto ognuno di voi a non avere paura“, aveva detto in una di queste occasioni. Sotto Natale, Navalny è stato trasferito nella colonia penale della Siberia in cui è morto. Era già sottoposto a un regime di massima sicurezza, ma il carcere in Siberia ha comportato un indiscutibile peggioramente delle sue condizioni, essendo uno dei più duri di tutta la Russia. Dopo la morte misteriosa arrivata venerdì 16 febbraio, la vedova di Navalny ha accusato Putin. Lunedì 19 febbraio, poi, è stata nominata nuova leader dell’opposizione della Federazione Russa, succedendo al marito e raccogliendone la sua pesante eredità politica.

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L’EREDITÀ DI NAVALNY

A raccogliere l’eredità morale di Navalny c’è anche la figlia Dasha, che ha già abbracciato l’attivismo politico. Nata e cresciuta a Mosca, la ragazza ha sempre manifestato una grande stima di suo padre. Per lui Dasha ha da sempre nutrito una stima profonda. Nel 2019 ha cominciato a studiare psicologia alla Stanford University, in California, dove vive da tempo insieme alla madre.

LA FIGLIA DASHA

Nel 2021 è stata Dasha a ritirare al posto del padre il Premio Sacharov per la libertà di pensiero istituito dal Parlamento Europeo proprio per ricordare un altro dissidente sovietico, lo scienziato Andrej Sacharov, padre della bomba all’idrogeno e premio Nobel per la pace nel 1975. Ha parlato in diverse occasioni di suo padre e della sua battaglia per la libertà e contro il regime, anche in alcune interviste. Alla Cnn, nel 2023, disse che non avrebbe smesso di combattere fino a quando Putin non avesse rilasciato suo padre e gli altri prigionieri politici nel Paese. 

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