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La storia di J., segregata in comunità dopo lo stupro

SPECIALE MAMME CORAGGIO | La ragazza, 17 anni, struprata in Inghilterra, venne in Italia con la madre per cercare supporto. Le cose sono andate diversamente

Pubblicato:03-07-2020 12:17
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:35

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ROMA – “Sono arrivata in Italia dall’Inghilterra nel febbraio del 2019. Lì ero stata stuprata da due ragazzi più grandi di me che non conoscevo. Sono arrivata qui per chiedere supporto, invece poi è successo di tutto…“. Inizia così il doloroso racconto di J., diciassette anni, giunta nel nostro Paese per fuggire dal trauma vissuto un giorno a Londra mentre usciva da scuola. E’ la mamma di J. a decidere di tornare a Roma, mentre il padre resta a lavorare in Inghilterra ed è lei, in occasione del sit-in organizzato dalle ‘mamme coraggio’ l’11 giugno scorso, in piazza Montecitorio, che a DireDonne aveva lanciato un appello per riavere la figlia con sé.

Perchè J., come lei stessa racconta alla Dire, in occasione della conferenza stampa di ieri sera indetta dall’avvocato Carlo Priolo, presidente dell’associazione ‘Verità altre’, è stata portata via dai suoi affetti e dalla sua casa. Quando con la madre lascia l’Inghilterra la decisione sembra risolutiva per ristabilire la serenità della ragazza. In Italia la mamma si rivolge ai servizi territoriali, ed è inserita in un percorso psichiatrico. La ragazza non parla italiano, e viene “diagnosticata come borderline e dislessica, quindi viene ricoverata” riferisce l’avvocato Priolo. La famiglia si ribella, i genitori perdono l’autorità genitoriale.

“Una volta in Italia- racconta la ragazza- mi hanno portato in ospedale e mi hanno raccontato che mia madre mi aveva abbandonato”. J. viene ricoverata in una casa famiglia per poche settimane. “Poi vengo nuovamente spostata, mi volevano mettere in una clinica intensiva che non era adatta a me e allora decido di fuggire. Mi ritrovano e vengo portata in ospedale dove mi ricoverano per sette giorni“. Ancora trasferimenti. Prima in una struttura “dove resto per quattro mesi invece dei due previsti inizialmente. E’ qui, nell’ultima settimana, che sono vittima di un abuso. Mi fanno due fiale perché dicono che sono agitata, mi tirano su la maglia e mi mettono le mani sul seno“. Poi lo spostamento in un’altra struttura, “dove subisco da una ragazza aggressioni, lividi e morsi. Registro tutto con le foto”. J. si ritrova di fatto in un comunità psichiatrica per bambini.


Venerdì scorso, e la vicenda finisce in diretta Fb, “mi strappano dal letto e mi dicono: se non ti fai fare questa fiala non ti portiamo in ospedale- prosegue nel racconto J.- Me ne fanno tre che mi stendono, allora decidono di portarmi davvero in ospedale perché non ero cosciente. Di quella sera non ricordo praticamente nulla”. E’ lì che nasce la protesta spontanea fuori dal nosocomio, con un gruppo di cittadini che si riunisce di fronte al Pronto soccorso per chiedere la ‘liberazione’ della ragazza. La mamma di J. non si dà per vinta e finisce così nel gruppo sempre più numeroso delle mamme che combattono per riavere i propri figli. “Gira con manifesti- racconta la figlia- e si è rivolta all’avvocato Priolo che ci sta aiutando moltissimo. Voglio uscire da questo incubo il prima possibile- conclude al termine delle due ore di permesso che ha ottenuto l’avvocato, prima di tornare nella struttura dove è attualmente ricoverata- e sono fiduciosa di potercela fare”.

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