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VIDEO | Mamma Villirillo aspetta la Cassazione: “Lo Stato deve mettersi dalla parte della povera gente”

In attesa del verdetto della Cassazione sull'omicidio di suo figlio Giuseppe Parretta, ucciso a 18 anni a Crotone nel 2018, torna a parlare la mamma 'coraggio' Katia Villirillo

Pubblicato:16-11-2022 10:59
Ultimo aggiornamento:16-11-2022 11:48
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katia villirillo
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ROMA – “Mi auguro che finisca il calvario delle vittime di reato, dateci pace. La legge dovrebbe essere meno garantista e stare dalla parte delle vittime altrimenti aiuta il carnefice a continuare a fare violenza. Lo Stato deve mettersi dalla parte della povera gente, delle vittime di reato”. Katia Villirillo, la mamma di Giuseppe Parretta ucciso a 18 anni il 13 gennaio 2018 a Crotone dal pluripregiudicato Salvatore Gerace, non dorme da giorni in attesa del verdetto di Cassazione , atteso per oggi, che confermerà o meno la pena dell’ergastolo: “Una storia infinita, un dolore immenso che continua… e cosa succede se non viene confermato l’ergastolo?“, si chiede, intervistata dalla Dire, affaticata, in un filo di voce, dopo anni di battaglia fino a quell’ictus che l’ha colpita lasciandole strascichi.

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LA MORTE DI GIUSEPPE

Quel terribile giorno, il 13 gennaio 2018, il povero Giuseppe Parretta, diciottenne, fu l’unica vittima del pluripregiudicato Gerace. Il suo ‘piano’ era di sterminare l’intera famiglia, ma colpì per primo (e poi rimase l’unico) il giovane, per prevenire la sua possibile reazione. L’omicidio avvenne nella sede dell’associazione ‘Libere Donne’ di Crotone, fondato dalla mamma Caterina Villirillo. Lei ha più volte pensato di essere lei, in realtà, la destinataria della furia ‘ndranghetista di Gerace che le ha portato via il figlio, per il suo essersi schierata dalla parte delle donne e dei fragili. Alla scena erano presenti anche l’altra figlia di Catia, Benedetta, e la giovane fidanzata di Giuseppe, Ester.


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LE SENTENZE DI PRIMO E SECONDO GRADO

In primo e secondo grado l’assassino ha avuto il massimo della pena, ma Katia e i suoi figli hanno “nitido il ricordo di quelle aule fredde, della violenza che si subisce nei Tribunali, abbiamo subito i soprusi di Gerace che ci ha offeso, che ha cercato di capovolgere il processo. Ecco io questo non l’ho perdonato“, dice mentre ricorda che durante il processo ha dovuto persino sentire l’accusa di non aver difeso suo figlio mentre veniva trucidato.

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“HO DATO FASTIDIO E CALPESTATO NOMI IMPORTANTI”

Quella di mamma Katia è una vita per la legalità, come presidente di Libere Donne a Crotone, città dove vive con gli altri suoi due figli, aiuta i bambini e i fragili che vivono condizioni di disagio, vessati dalla criminalità e dalla povertà, aiuta le donne vittime di violenza a fuggire. Lì, proprio in quella sede dell’associazione, suo figlio è stato ucciso, ma ancora oggi non è considerato vittima della criminalità organizzata: “Ho dato fastidio e calpestato nomi importanti ed è giusto riconoscere la memoria di questo ragazzo, io non ero una semplice mamma e non ero lì per caso”.

Oltre la sentenza della Cassazione, ci sarà poi da affrontare il procedimento civile. Una fatica immensa per questa mamma e i suoi due figli: “Un giorno ebbi in aula un’emorragia, la mia sedia era diventata tutto sangue e io non me ne ero nemmeno accorta. Sono stata soccorsa. Ricordo quello come un momento di grande violenza istituzionale, con i miei figli che hanno dovuto assistere a tutto questo“.

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