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VIDEO | Al museo Maxxi di Roma 73 foto per la mostra dei 50 anni di Medici senza frontiere

La presidentessa di Msf Claudia Lodesani ne ha parlato con l'agenzia Dire nel giorno dell'inaugurazione

Pubblicato:05-11-2021 17:41
Ultimo aggiornamento:05-11-2021 17:48

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ROMA – “Medici senza frontiere è nata nel 1971 da un gruppo di medici e giornalisti, un aspetto fondamentale per noi perché crediamo che non si possa fare il medico senza raccontare quello che vediamo. La collaborazione con fotografi e giornalisti è un pilastro della nostra attività”. Ne è convinta la dottoressa Claudia Lodesani, presidentessa di Medici senza frontiere. L’agenzia Dire la intervista nel giorno in cui l’ong inaugura al museo Maxxi di Roma la mostra Guardare oltre – Msf e Magnum: 50 anni sul campo, tra azione e testimonianza’, altra occasione per celebrare il cinquantenario di attività dell’organizzazione.

Fino al 14 novembre, sarà possibile vedere gratuitamente una selezione di 73 scatti – tra foto storiche d’archivio e quattro nuove produzioni – che raccontano cinque decenni di interventi di Msf: dai conflitti in Afghanistan e Libano, con la carestia in Etiopia, tra gli anni ’70 e ’80, al genocidio in Ruanda e il massacro di Srebrenica, negli anni ’90, arrivando al terremoto ad Haiti del 2010 fino alle attuali rotte migratorie in Messico, Grecia e nel mar Mediterraneo, compreso l’impatto della pandemia di Covid-19 nelle regioni più vulnerabili.

La collaborazione con la Magnum- prosegue Lodesani- ci ha accompagnato in questi anni, e l’aspetto interessante di questa mostra è che evidenzia bene come certe crisi si ripetono”. Un esempio è costituito dall’Etiopia: “così come negli anni ottanta la carestia fu una crisi dimenticata, così lo è oggi il conflitto nel Tigray. Una parte della mostra è dedicata infatti ai rifugiati che, a partire dal 2020, hanno lasciato il Tigray verso il Sudan”.


Una mostra che è anche occasione per denunciare violenze contro cronisti e operatori umanitari: “In questi ultimi anni- avverte la presidentessa di Medici senza frontiere- il mondo del giornalismo e dell’umanitario sono sotto attacco: vediamo ospedali bombardati o reporter minacciati o uccisi”. La collaborazione tra questi due settori dunque “è fondamentale: noi offriamo vicinanza alla crisi mentre i reporter raccontano ciò a cui assistiamo”.

Tra i nomi protagonisti della mostra, c’è quello di Gilles Peress, che ha raccontato l’impotenza di fronte al genocidio in Ruanda, quando tra l’aprile e il luglio 1994 vennero uccise quasi un milione di persone. Paolo Pellegrin nel 2015, a bordo della Bourbon Argos, ha raccontato le prime attività di Msf ricerca e soccorso di migranti nel Mediterraneo. L’obiettivo di Enri Canaj ha raccontato la condizione di migranti e rifugiati sulle isole greche di Lesbo e Samos, mentre Newsha Tavakolian si è dedicato alle donne nei campi sfollati dell’Ituri in Repubblica Democratica del Congo, dove 2,8 milioni di persone sono vittime di violenze e scontri. La macchina di Yael Martinez ha documentato la rotta migratoria tra Messico e Honduras dove migliaia di persone percorrono chilometri a piedi o in autobus per sfuggire a violenze e instabilità ma restano bloccate per mesi in città pericolose vittime di rapimenti ed estorsioni. Tutte zone dove Msf ha portato aiuti di emergenza o progetti di lungo respiro: “Con questa mostra vogliamo raccontare le nostre attività a chiunque voglia ascoltare- conclude Lodesani- dando però la priorità alle vittime di queste crisi dimenticate, dando loro voce. Sono loro i grandi protagonisti di queste immagini”. 

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