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ROMA – “L’ultimo atto della mia storia giudiziaria è la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma, in seguito al ricorso contro la sentenza di assoluzione di primo grado e dopo due anni di rinvii, che conferma l’assoluzione del mio ex per tutti i capi d imputazione: lesioni, violenza domestica, stalking aggravato verso la minore, e anche l’articolo 570 sulla violazione obblighi assistenziali”. A parlare, intervistata dall’agenzia Dire, è Cristiana Rossi, mamma coraggio che, insieme al Pubblico Ministero Silvia Pirro, ha ripercorso la sua storia per DireDonne: l’uscita dalla violenza domestica e l’esser riuscita a difendere da sola sua figlia e a mantenerne la custodia. Come presidente dell’associazione So.Germa Cristiana Rossi ha deciso di mettere la sua storia a servizio di altre donne: “Un punto che accomuna molti procedimenti giudiziari come il mio è dato dai pregiudizi culturali ancora molto vivi che ci sono verso le donne vittime di violenza e che sono utilizzati nei tribunali per arrivare all’archiviazione o all’assoluzione. I fatti sono accertati- puntualizza sul suo caso- Eppure le sentenze minano la mia credibilità. La nota dolente è che la donna vittima di violenza si ritrova così a vivere quella che viene definita ‘vittimizzazione secondaria’”. Ma nonostante tutto resta forte l’appello a denunciare: “E’ il primo passo, per noi e per i nostri figli. Denunciare- ha ribadito- vuol dire mettere la prima pietra per un nuovo inizio”.
“Durante un processo- ha precisato il Pubblico Ministero, Silvia Pirro, commentando tecnicamente la vicenda della mamma coraggio fino all’ultimo atto giudiziario- si deve ricostruire una vicenda storica e i fatti esposti dalla parte offesa hanno una connotazione quando si vivono; raccontarli è diverso. Il maltrattamento poi- ha spiegato- è un reato che non presuppone una sola condotta, ma una serie di condotte in un arco temporale e secondo una precisa volontà di minare la forza fisica e psichica di un altro soggetto che si vuole sottomettere. Se tutte queste condotte vengono staccate l’una dall’altra non abbiamo più il reato 572 del codice penale, ma diventano singoli episodi visti separatamente che non vanno ad integrare quel reato. Si può arrivare all’assoluzione perché si hanno condotte scisse, o perché non ci sono state le denunce tempestivamente, entro i 90 giorni” mentre per il 572 si procede d’ufficio. Un altro aspetto poi è dato dalla personalità dei maltrattanti: “Molto spesso i soggetti imputati di maltrattamento- ha dichiarato Pirro- hanno personalità complesse. In tribunale ne assumono tutta un’ altra” e un ulteriore tema è quello dei “testimoni qualificati. Lo sono coloro che hanno assistito a scene di vita domestica e invece spesso vengono portati amici e colleghi”.
“La confusione tra violenza e conflittualità l’ho vista molte volte nelle relazioni dei servizi sociali”. Lo ha detto senza mezzi termini il Pubblico Ministero Silvia Pirro rispondendo a quest’altro punto cruciale che grava soprattutto sull’affido dei minori, a seguito di denunce per violenza domestica. “Gli assistenti sociali tendono a dare una visione di conflittualità per cui chiedono l’allontanamento del minore, che magari viene affidato a una casa famiglia”. Anche nella storia di Cristiana e di sua figlia sono entrati i servizi sociali ai quali “era stata affidata la bambina”. E da mamma che ha trovato il coraggio di reagire ha denunciato con nettezza: “Nella sentenza che riguarda il mio procedimento è chiaro che la mia credibilità, come parte offesa, è stata screditata dalle relazioni dei servizi sociali, depositate dalla difesa”. Relazioni che hanno “prestato il fianco per poter trovare una scappatoia affinchè il padre della minore fosse assolto. E’ stato verificato che non c’era alcun pregiudizio per la minore- ha sottolineato Cristiana- E infatti è stata affidata a me in via esclusiva”.
Prendendo spunto dal libro ‘Crimini contro le donne’ del magistrato e presidente vicario del Tribunale di Milano Fabio Roia, Cristiana Rossi ha sottolineato il peso dei “pregiudizi culturali, della cultura dell’uomo dominante che si riversa nei tribunali. E’ come voler trasportare nel penale- ha denunciato- i pregiudizi culturali per dare una scappatoia al maltrattante”. Torna il peso del lavoro dei servizi sociali: “La relazione del servizio sociale nel civile- ha precisato Rossi- nel mio caso ha avuto come conseguenza l’assoluzione”. Il corto circuito civile-penale ha spiegato ancora il Pubblico Ministero Pirro: “E’ la dicotomia che si crea perchè si punta- secondo quello che è il mandato dei servizi sociali- all’interesse del minore, dal momento che ci sono quasi sempre minori in queste vicende, senza valutare la personalità dei due genitori e chi dei due sia nocivo. Le relazioni dei servizi sociali vengono acquisite in tribunale e l’assistente sociale conferma quanto scritto, quindi la prova si cristallizza su queste affermazioni. Queste è secondo me- ha stigmatizzato il Pubblico Ministero- una deformazione pericolosa. Allontanare il minore poi non è quasi mai la soluzione migliore”. Alla lettura dell’ultima sentenza Cristiana ha vissuto nuovamente la sensazione di non essere creduta. “Noi donne siamo credibili- ha dichiarato invece a gran voce- La percentuale delle denunce false è minima, e m’indigno – a tal proposito – per quante strumentalizzano perchè alimentano quella cultura che cerchiamo di combattere”.
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