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VIDEO | Akkila torna a Gaza: “Non ho paura, devo aiutare”

Una testimonianza dal valico di Rafah, mentre c'è chi paga per fuggire

Pubblicato:06-03-2024 15:03
Ultimo aggiornamento:06-03-2024 15:04

akkila storia gaza
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VALICO DI RAFAH (Egitto), 6 mar. – “Sono qui perché voglio rientrare a Gaza dalla mia famiglia. Non ho paura. Hanno bisogno di me. Darò anche una mano alla comunità: sono un farmacista e quindi potrei aiutare in ambito medico, ma per me la priorità è anche fornire prefabbricati ai profughi. L’estate è alle porte e non si può vivere nelle tende”. L’agenzia Dire incontra Nahedd Akkila prima che attraversi il confine egiziano diretto a Rafah, nella Striscia di Gaza. La sua famiglia è sfollata da Gaza City dopo che nei bombardamenti ha perso la casa. Lui lavorava in una farmacia negli Emirati già da un anno quando il 7 ottobre è di nuovo divampata la guerra. “Ho perso mio padre ma ho mia moglie e mia madre che mi aspettano, e tre figli di 7, 9 e 11 anni” racconta. “Il piccolo mi ha detto ‘non portarmi nulla, voglio solo che torni da noi, ho paura’. Cosa si risponde quando tuo figlio ti dice questo?”.

Oltre il cancello, Akkila ha anche due fratelli, tre sorelle, dieci nipoti, tanti cugini e amici che, dice, “non sento mai perché internet non c’è”. Così come manca da mangiare: “Comprano riso o farina a caro prezzo, dipende dai giorni. La carne è introvabile”. Mentre parliamo, poco lontano c’è il gruppo di circa 40 delegati provenienti dall’Italia tra deputati e esponenti della società civile, giunti qui per un appello al cessate il fuoco e per denunciare il fatto che solo pochi aiuti sono fatti entrare a Gaza. “È un bel gesto ma non ci servono le parole” dice Akkila: “Abbiamo bisogno di fatti”.

Si avvicinano intanto alcune persone egiziane. Sono i dipendenti dell’agenzia Hala che si occupa, da prima della guerra, di far uscire o entrare i palestinesi di Gaza. “Ogni passaggio costa 5mila sterline egiziane a testa” circa 150 euro, calcola Ghazy, 65 anni, l’unico del gruppo a parlare inglese. “Prima passavano tantissime persone, in entrata e uscita, non è un mistero. Il sottopassaggio del Canale di Suez si intasava sempre. Oggi non passa quasi più nessuno. La guerra ha creato problemi anche a noi”.


Voci tra i cooperanti ma anche inchieste di stampa riferiscono che ora per lasciare la Striscia sembra si debbano pagare somme ingenti all’esercito egiziano: si parla di 5mila dollari, ma si può arrivare anche a 25mila. “Sì, abbiamo pagato una cifra enorme ai militari”, ci dice Amira, una abitante di Gaza appena uscita. Sorride e gli occhi le brillano nonostante continui a ripetere: “Laggiù c’è la guerra, è terribile”. La incontriamo a un posto di blocco in Egitto, lontana ormai dal valico. Afferra la manina dei suoi bambini e ci saluta mentre, superati i controlli, si affretta dietro a un uomo. Forse non è il marito, anche lui corre, ma verso un’automobile. Le auguriamo “Allah ma’ak”, Dio sia con te. Ricambia con un gesto affettuoso: da Gaza non si entra e non si esce più con la frequenza di un tempo, ma qualcuno ancora ce la fa. Intanto l‘Egitto rafforza il muro che circonda il valico: l’esodo va impedito.

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