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L’alluvione in Toscana? Un evento che si verifica una volta ogni 100 anni. E il problema è che il terreno non ‘tiene’ più l’acqua

L'esperto di sistemi idraulici e ingegneria naturalistica Federico Preti spiega quanto sia stata impressionante la violenza dell'alluvione del 2 novembre in Toscana. E perchè il territorio oggi è molto più fragile per 'reggere' a un evento del genere

Pubblicato:05-11-2023 12:38
Ultimo aggiornamento:06-11-2023 19:32
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alluvione toscana
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FIRENZE – “Le zone di Prato, Pistoia e Lucca sono le più urbanizzate. L’evento meteo di questo inizio novembre è stato impressionante: allagamenti e esondazioni in zone urbanizzate, cumulate di pioggia di anche 160 mm in 3 ore, rapidi aumenti dei livelli idrometrici anche di 4-5 metri nei corsi d’acqua, con tempi di risposta analoghi alla durata delle precipitazioni”. A spiegarlo il professor Federico Preti, docente di Idraulica Agraria e sistemazioni idraulico – forestali dell’Università di Firenze e presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Ingegneria Naturalistica (Aipin).

“È vero che abbiamo precipitazioni intense e localizzate più frequenti, passando di colpo da siccità a alluvioni- prosegue- ma da cosa dipende il rischio idrogeologico, che io ormai chiamerei ‘idrogeoedilizio’? Dalla pericolosità, che ci dice quanto è elevata la possibilità che si verifichi un tale tipo di evento, ovvero quanti anni possono passare tra esso e un altro di pari o maggiore intensità, nel caso in esame si è parlato di tempo di ritorno di 50-100 anni“.

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IL TERRENO NON TIENE PIÙ L’ACQUA, TROPPE CASE E INFRASTRUTTURE

Ma dipende anche “dalla vulnerabilità e dal valore di mercato dei beni esposti al danno che possono subire- prosegue ancora Preti- per non parlare del valore infinito delle vite umane. Abbiamo oggi un territorio che a monte non ‘tiene’ l’acqua, che arriva in gran quantità e troppo rapidamente a valle, dove ora ci sono più abitazioni e infrastrutture di prima. Oggi abbiamo avuto le casse di espansione che, per fortuna, hanno funzionato. Ma prima avevamo una laminazione diffusa in scoline e acquidocci, terrazzamenti, invasi, etc. che si sono persi. Da nostri studi, ora acclarati anche alla letteratura scientifica internazionale, i volumi d’acqua e il rallentamento dei tempi di corrivazione che avevamo erano del tutto analoghi a quelli che cerchiamo di ottenere con nuove opere da costruire lungo i corsi d’acqua. E l’aumento del bosco non compensa l’aumento di impermeabilizzazione e la perdita di regimazione”.

70 ANNI FA L’ALLUVIONE DI FIRENZE, MA ORA IL TERRITORIO È PIÙ FRAGILE

Ora, spiega ancora il presidente dell’Associazione Italiana di Ingegneria Naturalistica, ci sono anche una “decina di tratti arginati da riparare, operazione essenziale, ma ricordiamoci che questi proteggono solo quello che separano dall’alveo, inducendo a costruire ancora e trasferendo più acqua e più rapidamente a valle. Oggi sono passati 57 anni dall’alluvione di Firenze e, negli ultimi 60-70 anni, abbiamo perso il presidio e la manutenzione del territorio, ora più fragile e vulnerabile e da lì dobbiamo ripartire“.

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SERVONO INTERVENTI ISPIRATI ALLA NATURA

Certamente, allora, è necessario “compensare e mitigare l’aumento di rischio con le cosiddette ‘Nature Based Solutions’. La scoperta dell’acqua calda? Si tratta di interventi ispirati dalla natura, ovvero l’Ingegneria Naturalistica che da noi è ben nota e collaudata, per quanto riguarda i nostri bacini collinari e montani. Nelle zone urbane sarebbero utili delle aree e fasce vegetate che possano frenare i deflussi idrici prima dell’ingresso nelle fognature o nelle reti di scolo. Oltre a delocalizzare strutture a rischio eccessivo”. Secondo l’esperto, infatti, non possiamo più esimerci dalla “massima applicabilità di tali interventi (ingegneria naturalistica al posto di quella grigia, a meno che non se ne dimostrino i limiti) e dovremmo attuare le direttive europee sul controllo del consumo del territorio e sull’impiego di materiali e soluzioni, ecocompatibili e sostenibili”, conclude.

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