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“La bigenitorialità non è un principio astratto”: ecco cosa scrivono i giudici sul caso Massaro:

I giudici che hanno parzialmente accolto l'appello presentato da Laura Massaro contro il decreto che prevedeva il collocamento di suo figlio dal padre

Pubblicato:13-01-2020 09:40
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:50
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ROMA – “Una sentenza che farà giurisprudenza”, ha detto Lorenzo Stipa, avvocato di Laura Massaro, il 3 gennaio scorso, quando la Corte d’Appello per i minorenni di Roma ha stabilito che il figlio della sua assistita non fosse tolto a sua madre. La donna accusata di PAS (alienazione parentale) vede ancora oggi sospesa la sua potestà genitoriale e un decreto dell’11 ottobre scorso aveva stabilito che il bambino, di dieci anni, dovesse essere forzatamente collocato presso il padre, che il minore non vuole vedere, con la presenza dei servizi sociali h24 o finire, se necessario, in casa famiglia. La Corte d’Appello ha detto no a questo decreto e lo ha fatto spiegando cosa significhi davvero la bigenitorialità e rinnovando la priorità assoluta dei diritti del bambino.

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Si legge nella sentenza che la Corte accoglie parzialmente l’appello della signora Massaro per “il superiore interesse del minore. Il provvedimento impugnato non appare sorretto da un adeguato bilanciamento”. Le soluzioni prospettate nel decreto di allontanamento del bambino dalla madre porterebbero a “situazioni inapplicabili e fonte di eccessiva sofferenza per il minore. La bigenitorialità- si legge nella sentenza- non è un principio astratto e normativo, ma è un valore posto nell’interesse del minore, che deve essere adeguato ai tempi e al benessere del bambino”.


Inoltre non c’è proporzione tra “la valutazione comparativa degli effetti dell’allontanamento dalla casa familiare rispetto al beneficio atteso”. La strada per ricostruire il rapporto padre-figlio- viene spiegato- non può passare per “un collocamento coattivo presso la casa del padre”, così il bambino si ritroverebbe “incastrato nella duplice sofferenza di un drastico e incomprensibile sradicamento dal proprio ambiente e dagli affetti e mediante un’esposizione forzosa a situazione per lui fonte di ansia e paura. Provocando questa sofferenza non può essere ricostruita la relazione con il padre”.

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Inoltre la Corte d’Appello rimprovera al provvedimento un “difetto di gradualità della misura proposta: non esistono scorciatoie normative per ricostruire relazione padre-figlio“. Risulta “velleitario ricostruire un rapporto- quello con il padre- recidendo l’altro, quello con la madre”. Si legge in sentenza che “la mamma agisce nella soggettiva convinzione di stare operando per il bene del figlio e per questo si espone al rischio di conseguenze personali anche gravi”. Rimane in piedi “il sostegno al bambino con una terapia psicologica di supporto per il disagio che il bambino mostra nel sottrarsi alla relazione con il padre”.

Va ricordato che gli incontri protetti non hanno funzionato per “la netta preclusione del minore ad incontrare il padre, fino a rifiutarsi di uscire di casa per recarsi nel locali della cooperativa per gli incontri protetti”. Un altro passaggio importante riguarda “la sottovalutazione dell’incidenza delle condizioni di salute del bambino e della sua patologia autoimmune. Nessuna valutazione dei rischi- rimprovera la Corte d’Appello- è stata effettuata dal Tribunale”. Rimane “centrale la figura del tutore”, anche se la Corte d’Appello stigmatizza “i ritardi per autorizzare il minore a sport o socialità” e ricorda “che il bambino deve essere agevolato” ricordando l’importanza che “riprenda la pienezza degli impegni scolastici, sportivi e sociali e che la presenza del padre si pieghi a orari e tempi del bambino che ha ormai dieci anni”.

Queste le ragioni per le quali, secondo la giudice Franca Mangano, il bambino non può finire dal padre in modo forzoso, peraltro- anche questo viene specificato in sentenza- lasciando una casa normale, con una propria stanza e uno spazio per studiare e finendo “in una mansardata” in cui il padre avrebbe lasciato la sua camera al bambino per “condividere la stanza con la madre parzialmente autosufficiente e l’educatore h24 sul divano letto”. Per tanti bambini che oggi sono finiti in casa famiglia, o rischiano di finirci, o prelevati e trasferiti in modo forzoso presso padri spesso sconosciuti forse si apre un nuovo scenario, quello indicato da questa sentenza storica: non è dalla sofferenza e dalla paura che si ricostruisce un rapporto genitoriale.

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