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VIDEO | Coronavirus, medico da Madrid: “Ritardi nelle misure anti contagio”

Lo racconta alla Dire Pedro Gutierrez Miguel, pediatra e neonatologo intensivista di uno dei più grandi ospedali della capitale spagnola

Pubblicato:31-03-2020 14:52
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:03

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NAPOLI – “La percezione della situazione dipende da chi sei. Chi non è stato colpito in prima persona dal virus o da un lutto non se ne rende bene conto, ma quando lavori nella sanità te ne accorgi. Gli ospedali sono cambiati completamente, in quello in cui lavoro ci sono 700 pazienti Covid, tutti i reparti sono convertiti tranne oncologia, neonatologia e metà ostetricia. Vedi anche il ritmo a cui si ammalano i sanitari. Per le persone, a parte il dover stare a casa, la vita non è cambiata moltissimo, ma se lavori in ospedale capisci che è incredibile, che è impensabile che stia accadendo”. Lo racconta alla Dire Pedro Gutierrez Miguel, pediatra e neonatologo intensivista di uno dei più grandi ospedali di Madrid.
“Credo che in Spagna – spiega – i provvedimenti per il controllo del contagio siano stati presi in ritardo, forse perché ho visto quello che succedeva in Italia: qui avremmo potuto agire prima e invece stiamo andando alla stessa velocità, o più lentamente, dell’Italia. Io ero in pronto soccorso e vedevo che arrivavano persone con sospetto Covid, ma non si facevano i tamponi”. Pedro racconta come il suo reparto “a parte la neonatologia, è stato completamente spostato in un altro ospedale e i letti usati per i bambini adesso vengono usati per gli adulti Covid, così come la rianimazione post chirurgica. Tutti i posti letto in cui si può avere un monitoraggio e un respiratore adesso si usano per i pazienti Covid”.

Nell’ospedale in cui lavora, evidenzia, “dei 10 medici del reparto di neonatologia, 4 sono positivi e altri 3 sono in cura con immunosoppressori quindi restano solamente 2-3 neonatologi per il lavoro che solitamente si faceva in 10. Così come tra i turnisti che fanno le guardie si è a lavoro in 3 su 6″. Il medico spagnolo spiega anche che “chi si offre volontario viene reclutato per l’ospedale da campo allestito alla Fiera di Madrid dove ci sono 5500 posti, anche di terapia intensiva, per Covid. Lì sono confluiti molti degli specializzandi di pediatria, ad esempio”.
Il problema della mancanza dei dispositivi di protezione individuale “nel mio ospedale non si avverte quasi perché, seppur non siano come dovrebbero, i Dpi ci sono. Parlando con dei colleghi, però, ho visto che il problema in altri ospedali è molto più grande perché i dispositivi mancano. La Spagna ha la più alta percentuale di contagio tra i sanitari sia perché si sono fermati in ritardo le operazioni o gli ambulatori, sia perché c’è carenza di protezioni e perché ci fanno meno tamponi di quelli che dovrebbero. Probabilmente dipende dal numero di test che hanno a disposizione, l’attesa che c’è per farli ed avere i risultati: magari prima potevano farlo anche solo se eri stato a contatto con un amico positivo, adesso se hai i sintomi, forse tra qualche giorno te lo fanno se un tuo collega lo ha avuto. Per noi medici dipende anche dalla situazione del reparto perché se io mi faccio il test senza avere sintomi, e magari risulto positivo, e poi devo assentarmi dal lavoro chi si occupa dei neonati? C’è bisogno – conclude – che qualcuno resti per occuparsi di loro”.

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