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Cile, Figueroa Huencho: “Sbagliato militarizzare le terre mapuche”

A raccontare la fase delicata che sta vivendo il Cile è una professoressa che insegna Politica pubblica nativa all'Universidad de Chile

Pubblicato:21-10-2021 16:24
Ultimo aggiornamento:21-10-2021 21:22
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cile elisa loncon mapuche
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ROMA – “Il governo del Cile è fuori contesto, c’è una dissonanza forte con la società che avanza. Il presidente Sebastian Pinera continua a imporre la militarizzazione dei territori mapuche, mentre la Convenzione costituzionale lavora per il riconoscimento dei popoli originari e la creazione di uno Stato plurinazionale”. A parlare con l’agenzia Dire è Vero Figueroa Huencho, origini mapuche, professoressa di Politica pubblica nativa all’Universidad de Chile.
In quattro province di due regioni centro-meridionali del Paese sudamericano – Arauco e Biobío nel Biobío e Malleco e Cautíin, nell’Araucanía – si è giunti al nono giorno di uno stato di emergenza di due settimane proclamato il 12 ottobre da Pinera.

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La misura eccezionale, prorogabile per altri 15 giorni senza passare per il voto del Congresso, implica la concessione di ampi poteri alle forze armate. Il provvedimento è stato dichiarato, secondo il capo di Stato, per far fronte a “gravi e reiterati fatti di violenza commessi da gruppi armati vincolati al narcotraffico, il terrorismo e il crimine organizzato”.


Stando a dati del governo rilanciati dal quotidiano El Mercurio, nelle zone oggetto dello stato di eccezione, situate circa 600 chilometri a sud dalla capitale, nell’ultimo anno sono stati registrati 1.475 atti di violenza di vario tipo, quasi il doppio di quelli riscontrati nello stesso periodo nel 2020.
Figueroa Huencho, che è anche vicepresidente del Senato universitario, considera la scelta del governo “sbagliata” e ritiene non corretto l’approccio dell’esecutivo “che mette nello stesso calderone le storiche rivendicazioni dei popoli originari con altre dinamiche, nate sempre dall’assenza dello Stato ma di natura diversa, come il narcotraffico e la mafia legata al contrabbando di legname”.

Nelle regioni centro-meridionali lo Stato e i nativi sembrano parlare due lingue diverse. Quella che per la Moneda è infatti la “Macrozona sur”, per i popoli originari, mapuche in primis, un quarto degli abitanti della Aracaunia, è il “Gulu mapu”, parte del più ampio Wallmapu che comprende anche il territorio del sud dell’Argentina. In altre parole, sottolinea la professoressa, “stiamo parlando dei territori ancestrali dei nostri popoli che ci sono stati sottratti durante la fase di occupazione” dei coloni di origine europea, nella seconda metà dell’800.
Da qui parte l’onda lunga di oltre un secolo di rivendicazioni alle quali, secondo la professoressa, “si è risposto con una progressiva e crescente militarizzazione e ingerenza da parte del ministero degli Interni”. La tesi è che lo Stato non abbia accolto queste istanze nella propria struttura. “Il Cile non riconosce in Costituzione uno status giuridico ai nativi, ma non si è neanche dotato di un ministero ad hoc o di un consiglio dei popoli originari”, evidenzia la docente. “L’unico provvedimento in questo senso è la cosiddetta ‘ley indigena’ del 1993, che non è sufficiente”.

A oggi la questione della terra non è stata risolta sul piano del diritto, ma al massimo tramite procedure di tipo commerciale. “Abbiamo un’agenzia governativa, la Corporación Nacional de Desarrollo Indígena, che gestisce fondi e compra territori ai privati, ma che assolutamente non scalfisce oltre la superficie della questione”, dice Figueroa Huencho, convinta che la questione abbia anche un’importante dimensione economica. “La nostra struttura produttiva è ancora fondata sull’estrattivismo – denuncia la professoressa – e buona parte delle nostre risorse in questo senso si trovano proprio nell’Aracaunia”.

La fase è delicata. Sono passati pochi giorni dal secondo anniversario dell’inizio della mobilitazione che da una protesta contro il rincaro dei biglietti della metro di Santiago si è trasformata in un enorme richiesta di cambiamento, finita per ottenere un referendum e poi la creazione della Convenzione costituente che ha cominciato ieri il suo dibattito. Tra un mese, il 21 novembre, i cileni si recheranno poi alle urne per scegliere il loro nuovo presidente.

“Stiamo ponendo i nuovi pilastri della convivenza della nostra società”, dice Figueroa Huencho. “La presidente della Convenzione, Elisa Loncon, è mapuche, così come sono nativi diversi esponenti delle commissione tematiche che scriveranno la magna carta”. Secondo la professoressa, “il Paese avanza” e “si va verso la costruzione di uno Stato plurinazionale che riconosce tutte le anime che compongono il Cile”.

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