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Oltre Il Pd c’è solo l’Alleanza Democratica Riformista

L'editoriale del direttore Nico Perrone

Pubblicato:03-10-2022 19:55
Ultimo aggiornamento:03-10-2022 19:58

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ROMA – Capi e capetti delle varie correnti del Pd si stanno organizzando per spostare alle calende greche quel congresso che dovrà dar vita alla nuova forza politica del centrosinistra. Le tappe proposte dal segretario uscente, Enrico Letta, altro non sono che il tentativo della vecchia squadra di sterilizzare il ricambio. Il confronto, se sarà vero, non potrà che essere non solo aspro ma soprattutto aperto alla società e libero da ogni ipoteca. Chi ha portato, dopo 15 anni, alla sconfitta e al tramonto dell’idea che aveva portato alla nascita del Pd deve arrendersi e farsi da parte.

Se per davvero si ha a cuore la costruzione di una possibile alternativa, in questi 5 anni di opposizione, per battera la destra di Giorgia Meloni e candidarsi alla guida del Governo, dovrà mettersi a disposizione del nuovo progetto senza rivendicare questo o quel privilegio acquisito. Per questo bisognerà che dai territori arrivi una spinta forte e robusta, di tutti quei dirigenti, amministratori e primi cittadini che in questi anni, loro sì, hanno visto e si sono confrontati con i cittadini, li hanno visti da vicino e hanno trovato soluzioni ai loro problemi ed anche sperimentato innovazione. Tocca a loro, dovranno avere il coraggio di farsi avanti e di pretendere il giusto riconoscimento, quello che i vari capicorrente hanno sempre messo da parte.

Non bisognerà ripetere l’errore iniziale, quello di pensare che il Pd, allora nuova forza politica, sarebbe nata e cresciuta solo grazie alla fusione a freddo decisa dai leader del tempo. Si è visto come è andata a finire, quell’errore non bisognerà ripeterlo, pena la fine della speranza di quelli che non vogliono, come stanno facendo tanti elettori, passare all’astensionismo, gettare la spugna. La nuova forza politica, che mi piace chiamare Alleanza Democratica Riformista dovrà con forza predisporre un programma incentrato su “Liberalismo” quando è utile; “Socialismo”, quando è necessario. Che poi sono alla base della socialdemocrazia tedesca, che in tutti questi decenni è sempre riuscita a superare anche il periodo più nero.


Se toccherà a Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, starà a lui a trovare la via per costruire l’intesa con quell’area elettorale che ha scelto Calenda e Renzi, guardando agli elettori di Forza Italia che man mano che la destra di Meloni prenderà sempre più piede, potrebbero scegliere una prospettiva più liberale e riformista. Per quanto riguarda il capo della sinistra, oggi rappresentato dal Movimento 5 Stelle, toccherà alla giovane leader Elly Schlein, e i movimenti che già ha mobilitato in passato, irrompere in quell’area per costruire una forza politica di sinistra che non ha paura di governare, contendendo la leadership a Giuseppe Conte, che di sinistra non è, e che quando il Governo Meloni metterà mano al reddito che lui ha promesso a tutto il Sud d’Italia si ritroverà a dover fronteggiare un malcontento che investirà in pieno proprio lui.

Chi pensa di tener in piedi ancora le due anime, quella riformista e quella di sinistra, che nulla ha prodotto finora, gioca soltanto ad allungare il brodo, a far finta di cambiare per lasciare tutto com’è. Perché cosa accadrebbe, visto che queste voci si rincorrono e vengono sussurrate da persone che rivestono ruoli di responsabilità, se al momento della conta tra Bonaccini e Schlein ci dovessimo trovare di fronte alla preferenza di big del passato come Prodi, D’Alema, Bersani e tutti gli altri del passato che, alla fine dei conti, non è stato per niente glorioso? Si ritornerebbe a giocare con i vecchi schemi e il nuovo verrebbe ucciso ancor prima di nascere.

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