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Fisco, Cgia: “Paghiamo 33,4 miliardi di tasse in più rispetto alla media europea”

Per la Cgia la Flat Tax "interesserà solo un numero limitato di persone con redditi medio-alti"

Pubblicato:03-08-2019 08:46
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:35
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ROMA – “Nel 2018 gli italiani hanno pagato 33,4 miliardi di euro di tasse in più rispetto all’ammontare complessivo medio versato dai cittadini dell’Unione europea. Si tratta di un differenziale che pesa quasi 2 punti di Pil. In termini pro capite, invece, abbiamo corrisposto al fisco 552 euro in più rispetto alla media dei cittadini europei”. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia che ha comparato la pressione fiscale dei 28 Paesi dell’Ue e, successivamente, ha calcolato il gap esistente tra l’Italia e ciascun Paese appartenente all’Unione.

“Il tempo degli slogan e delle promesse è terminato- denuncia il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo- Con la prossima manovra di Bilancio è necessario uno scossone che nel giro di qualche anno riduca di 3-4 punti percentuali il peso delle tasse. Considerata la delicata situazione dei nostri conti pubblici, tale intervento sarà praticabile solo ed esclusivamente se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte dei bonus fiscali. Operazione, quest’ultima, che appare difficilmente perseguibile. A confermarlo sono i risultati ottenuti in questi ultimi 10 anni. Tutti gli esecutivi che si sono succeduti si sono cimentati con grande determinazione sul versante della spending review; gli esiti, però, sono stati insoddisfacenti. L’auspicio è che il Governo Conte abbia maggiore fortuna”.

Secondo il segretario della Cgia, Renato Mason, “le troppe tasse, comunque, sono un problema non solo perché mettono a repentaglio la tenuta finanziaria di tante famiglie e altrettante imprese, ma anche perché hanno innescato nel sistema economico dei processi viziosi molto pericolosi. Con un peso fiscale opprimente e una platea di servizi erogati dall’Amministrazione pubblica che negli ultimi anni è diminuita sia in termini di qualità che di quantità, la domanda interna e gli investimenti hanno subito una caduta verticale. Inoltre, è diventato sempre più difficile fare impresa, creare nuovi posti di lavoro e redistribuire la ricchezza. Alle piccole e piccolissime imprese, altresì, l’effetto combinato tra il calo dei consumi delle famiglie e la contrazione dei prestiti bancari ha provocato molti squilibri finanziari, costringendo tantissimi lavoratori autonomi a chiudere l’attività e a cambiare mestiere”.


E in attesa che la manovra di Bilancio 2020 “chiarisca come verranno recuperati i 23,1 miliardi di euro necessari per evitare che dal prossimo primo gennaio l’Iva torni ad aumentare”, la Cgia ricorda che “la pressione fiscale reale presente nel nostro Paese è di ben 6 punti superiore al dato ufficiale. Il nostro Pil, infatti, come del resto quello di altri Paesi dell’Ue, include anche gli effetti dell’economia non osservata che, secondo le ultime stime dell’Istat, ammontano a 209 miliardi di euro all’anno. Questa ricchezza, generata dalle attività irregolari e illegali, se da un lato non fornisce alcun contributo all’incremento delle entrate fiscali, dall’altro accresce la dimensione del Pil. Rammentando che la pressione fiscale si ottiene dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, se dalla ricchezza prodotta (ovvero dal denominatore) togliamo la componente riconducibile all’economia ‘in nero’, il risultato del rapporto (vale a dire la pressione fiscale) in capo ai contribuenti onesti aumenta, consegnandoci un carico fiscale reale molto superiore a quello ufficiale (48% per cento anziché 42,1%).

Tornando ai dati della comparazione, prosegue la nota della Cgia, “sempre nel 2018 è emerso che in Europa solo Francia, Belgio, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia hanno pagato mediamente più tasse di noi. La sorpresa viene da Parigi: ogni cittadino d’Oltralpe ha versato al fisco 1.830 euro in più rispetto a noi. In termini assoluti il divario fiscale è a noi favorevole e ammonta a 110,7 miliardi di euro. Rispetto agli altri principali competitori, invece, soccombiamo sempre. Se avessimo la pressione fiscale della Germania verseremmo 24,6 miliardi di tasse in meno (407 euro pro capite), dell’Olanda 56,2 (930 euro pro capite), del Regno Unito 114,2 (1.888 euro pro capite) e della Spagna 119,5 (1.975 euro pro capite)”.

La flat tax, si chiede la Cgia, “può costituire la medicina che consentirà alla pressione fiscale italiana di scendere a un livello accettabile? Premesso che qualsiasi misura che riduca il peso delle tasse non può che essere salutata positivamente, bisogna fare molta attenzione. Se i numeri in circolazione in queste settimane saranno confermati, pare che già oggi sulla maggior parte dei contribuenti Irpef gravi un’aliquota effettiva inferiore al 15%. Pertanto, l’applicazione della tassa piatta rischia di interessare un numero ristretto di soggetti con redditi medio-alti. Tuttavia, la vera questione sarà dove trovare le risorse per realizzare questa decisa riduzione delle imposte. Se difficilmente saranno compensate da un risparmio della spesa, il ministro Tria, seppur critico sulla flat tax, pare abbia in mente la soluzione: il taglio dell’Irpef potrebbe essere in parte coperto da un aumento dell’Iva, anche in forma selettiva”.

Operazione che, secondo la Cgia, “favorirebbe sicuramente le esportazioni, come sostengono i tecnici di via XX Settembre, ma penalizzerebbe i consumi interni. E a pagare il conto non sarebbero solo le famiglie, in particolar modo quelle meno abbienti, ma anche gli artigiani, i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente di domanda interna”. Gli artigiani mestrini, inoltre, ricordano che, “nell’ipotesi peggiore, se non verranno recuperati entro la fine di quest’anno 23,1 miliardi di euro, l’aliquota ordinaria passerà dal 22 al 25,2 per cento, mentre quella ridotta salirà dal 10 al 13%”..

Così infine Zebeo: “Bisogna assolutamente evitare l’aumento dell’Iva, anche in forma selettiva. E non è nemmeno accettabile il baratto più Iva meno Irpef. Ricordo che da un eventuale scambio di questo genere, la gran parte dei 10 milioni di contribuenti Irpef che rientrano nella cosiddetta no tax area, che è costituita in particolar modo da pensionati al minimo, non avrebbe alcun beneficio economico. Così come i disoccupati e le persone in gravi difficoltà economiche. Non pagando l’Irpef, non usufruirebbero di alcuna riduzione di imposta. Per contro, invece, si ritroverebbero a pagare più Iva”.

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