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Processo Aemilia, “Io dovevo uccidere Nicolino Grande Aracri”

Il racconto in aula di Paolo Bellini, il sicario reggiano che si è autoaccusato di 12 omicidi: è stato ascoltato come testimone in quanto ex collaboratore di giustizia

Pubblicato:28-10-2016 17:10
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:14

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Nicolino Grande Aracri fotografato dai Carabinieri a Bologna

REGGIO EMILIA – A Reggio Emilia fu pianificato un attentato contro Nicolino Grande Aracri, detto “mano di gomma”, che avrebbe dovuto essere commesso a Cutro. Il killer incaricato fu Paolo Bellini, il sicario reggiano che si è autoaccusato di 12 omicidi, protagonista della stagione di violenza che attraversò nei primi anni ’90 la città del Tricolore. Il retroscena è svelato dallo stesso Bellini, ex collaboratore di giustizia, sentito oggi come testimone a Reggio nell’aula del processo Aemilia. L’attentato contro Grande Aracri si inserisce nel quadro della faida che contrappose i Dragone (successivamente scalzati dai Grande Aracri) ai Vasapollo, capeggiati da Nicola Vasapollo, “che aveva deciso di fare una famiglia per conto proprio. “Mi avevano preparato a Cutro una auto blindata con delle armi. Dovevo colpire Grande Aracri che aveva appuntamento in una trattoria. Quante persone dovevo uccidere? Non è importante, ero determinato”, spiega Bellini, puntualizzando che aveva a disposizione “una mitragliatrice, una pistola e due bombe a mano“.

giustizia tribunaleL’attentato non si verificò perchè “non arrivò la dritta sul momento ideale in cui colpire”. Interpellato dal pm Marco Mescolini sui suoi rapporti con la ‘ndrangheta, Bellini racconta del patto “scellerato” stretto in carcere a Prato con Nicola Vasapollo. “Io avevo un sassolino da togliermi e all’uscita ci accordammo che ci saremmo aiutati a vicenda”. Bellini tenne fede alla parola e nel 1992 uccise a Cutro Paolino Lagrotteria diventando così “consigliere” della ‘ndrina di Vasapollo. In seguito, dopo essersi occupato di stupefacenti, racconta il testimone, “divenni il killer della cosca, un mero esecutore di fatti”. A differenza di altri Bellini, non fu però “battezzato”. Spiega il reggiano: “Sarei dovuto andare alla cresima di un cugino di Vasapollo come padrino. Non lo feci altrimenti avrei stretto un legame molto più stretto”. Il testimone tentò anche di uccidere un suo ex sodale e amico, Antonio Valerio, “perché aveva partecipato alla morte di Nicola Vasapollo ed era passato ai Dragone”. Tuttavia, dichiara Bellini in aula, “beato me che non è morto, ne ho uno in meno sulla coscienza“.

di Mattia Caiulo, giornalista professionista


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