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Don Ciotti: serve cambiamento anagrafico per le donne che si ribellano ai clan

Testimonianze di mamme che salvano i loro figli dalla mafia

Pubblicato:03-12-2023 10:46
Ultimo aggiornamento:03-12-2023 10:48
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femmincidi italia
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ROMA – “Inizio a ribellarmi quando capisco che volevano risucchiarmi nel loro mondo, gestire me e i miei figli. Mi picchiava, e porto ancora dei segni. Dovevo scrivergli per chiedergli il permesso di andare al bagno, arrivò a dire a mia figlia: Tu sei più p…di tua madre. Ammazzo anche te”. Sono i ricordi della violenza e ferocia subita dal marito, boss di mafia, al quale questa giovane donna per salvare se stessa e i suoi figli è scappata accolta dal programma ‘Libere di scegliere’ ideato da don Ciotti, fondatore di LIbera. L’ha intervistata insieme ad altre donne che ora vivono nascose e braccate, la giornalista inviata Rai Maria Grazia Mazzola per TV7- settimanale del Tg1– sottolineando quello che ad oggi è un buco normativo che le espone a dei rischi: non avere una nuova identità anagrafica. Vivono infatti nascoste e braccate con i loro figli.
Un’altra racconta: “Mia figlia doveva essere la congiunzione con un’altra famiglia” ed è per questo che queste mamme trovano il coraggio di fuggire: “Per essere d’esempio ai propri figli, per dare loro un futuro di legalità, per salvarli, per l’amore viscerale che hanno per loro”.
Un pioniere di questa battaglia ai clan è stato il presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, Roberto Di Bella: sulla proposta “togliamo la patria potestà ai mafiosi”. “Molti giovani accolti nel programma lavorano, molti sono andati all’università. Abbiamo avuto un bimbo di dieci anni testimone oculare di un duplice omicidio: aveva incubi ,temeva di essere ucciso”.
Nel patriarcato dei boss, su cui si fonda l’organizzazione criminale mafiosa, sono le donne che decidono di ribellarsi a sferrare inaspettatamente il colpo mortale, rischiando di perdere la loro stessa vita. E’ su questo vuoto legislativo che insiste don Ciotti: “Hanno bisogno di avere un cambiamento anagrafico, per andare a scuola, a lavoro, alcune si devono spostare continuamente”.
“In 11 anni- ricorda il presidente del Tribunale per i minorenni dki Catania- il programma ha accolto 30 donne e 150 minori. Finanziato completamente dalla Conferenza Episcopale italiana con l’8xmille, ora ci sono interlocuzioni con il ministero di Giustizia”.
“Ti faccio sfregiare con l’acido, ti faccio saltare in aria- le diceva il marito quando capì che lei si stava ribellando- sono nata nella famiglia sbagliata- racconta un’altra donna che ha sfidato il clan- non ho potuto studiare. Ora sono circondata di libri, voglio studiare e lavorare. Ma abbiamo bisogno di un nostro posto nel mondo, viviamo nascosti e braccati, abbiamo bisogno di una nuova identità”.

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