NEWS:

In Ecuador nativi in protesta: “La repressione non ci ferma”

Andres Tapia, portavoce di Confeniae, parla da Quito alla Dire nel 12esimo giorno della mobilitazione nazionale: "Il presidente Lasso non risponde nel merito"

Pubblicato:25-06-2022 14:39
Ultimo aggiornamento:25-06-2022 14:39
Autore:

proteste_ecuador_paro_nacional
Getting your Trinity Audio player ready...
FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – “La magnitudine della mobilitazione ha superato ormai quella del Paro nacional del 2019, e nonostante la repressione, le morti e la violenza delle forze di sicurezza, andremo avanti. Continueremo a reagire alle aggressioni dell’esercito e a cercare risposte reali alle nostre istanze”. Andres Tapia è il responsabile della comunicazione della Confederacion de Nacionalidades Indigenas de la Amazonia Ecuatoriana (Confeniae), organizzazione che rappresenta 1.550 comunità originarie dell’Amazzonia dell’Ecuador, e parla all’agenzia Dire dalla capitale Quito, dove si trova insieme a oltre 1.500 attivisti nativi della foresta.

Il contesto è il dodicesimo giorno della mobilitazione nazionale convocata a partire da dieci richieste al governo da parte dalla Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (Conaie), la principale organizzazione di rappresentanza dei popoli originari del Paese sudamericano, di cui la Confeniae rappresenta la branca amazzonica.

I nativi affermano che il nuovo Paro nacional, formula che significa “sciopero nazionale” e che in genere viene usata nei Paesi sudamericani per indicare le mobilitazioni su larga scala, come quella del 2019 citata da Tapia, si è reso necessario dopo il fallimento di circa un anno di dialogo con il governo su temi come l’aumento del prezzo dei combustibili e dei beni di prima necessità, l’espansione dell’attività estrattiva e la richiesta di maggiori investimenti nella salute e nell’istruzione. Tutti temi che tornano nei dieci punti rilanciati dalla Conaie.


A oggi uno stato di emergenza vige in 6 delle 24 province del Paese, le principali arterie statali di almeno dieci province sono bloccate mentre negli scontri fra manifestanti e polizia almeno tre persone sono morte e 92 sono rimaste ferite stando ai numeri dell’Alianza de Organizaciones por los Derechos Humanos, un insieme di 15 ong. Il governo e le forze armate affermano inoltre di aver sostanzialmente perso il controllo della città di Puyo, capoluogo della provincia di Pastaza e centro più importante dell’Amazzonia, oltre che sede della Confeniae.

Tapia, che è anche nativo della città, 160 chilometri a sud di Quito, conferma queste informazioni alla Dire. “La nostra provincia è stata una delle più attive nella protesta – afferma l’attivista – e dopo l’uccisione di un attivista della comunità dei Kichwa, Guido Guatatuca, l’ira dei nostri compagni è prevalsa”. Al caos ha provato a mettere un freno il presidente dell’Ecuador Guillermo Lasso, che con un comunicato ha risposto punto per punto alle richieste della Conaie. Tapia classifica come “palliative” le argomentazioni del capo dello Stato. “Non toccano le questioni di fondo dietro a quelle che solleviamo, ma del resto non potrebbe essere altrimenti. Il presidente è troppo condizionato dalle esigenze del Fondo monetario internazionale (Fmi)”. Lo scorso maggio il governo di Quito e l’istituzione con sede a Washington hanno raggiunto un accordo a livello tecnico sulla revisione delle politiche economiche del Paese. Un passo propedeutico questo, all’eventuale autorizzazione di un finanziamento da un miliardo di dollari da parte del comitato esecutivo.

Le autorità, sempre nel tentativo di allentare la tensione, hanno disposto l’allontanamento della polizia dalla Casa de la cultura di Quito, luogo iconico della storia del Paese che era stato occupato dalle forze dell’ordine nei giorni scorsi, mentre il governo ha aumentato i fondi destinati all’educazione Bilingue e Interculturale, come richiesto dagli attivisti.

Il tentativo dell’esecutivo è però fallito e la protesta prosegue, alimentata anche dall’arresto temporaneo del presidente della Conaie Leonidas Iza Salazar, avvenuto una dozzina di giorni fa nella provincia di Cotopaxi. Il leader nativo è stato rilasciato dopo circa 48 ore, ma il suo fermo “ha fatto fare un salto di qualità alla protesta, trascinandola a tutta forza fino a Quito”.

La capitale è stata colpita da scontri e da diversi tentativi dei manifestanti di accedere a istituzioni centrali del Paese, compresa la sede dell’Asamblea Nacional. Anche i movimenti nativi sono stati accusati di violenze e di atti di vandalismo. “Ci sparano contro e noi abbiamo intenzione di reagire”, mette in chiaro il dirigente di Confeniae. “È evidente la asimmetria di risorse fra noi e l’esercito, ma disponiamo di scudi e di modi per difenderci e abbiamo intenzione di usarli per evitare che la violenza delle forze armate degeneri”.

Mentre in Ecuador imperversa la protesta, nella vicina Colombia il candidato alla presidenza sostenuto dai movimenti nativi, Gustavo Petro, vince le elezioni insieme alla vicepresidente Francia Marquez, avvocatessa afrocolombiana femminista e ambientalista. “Questi – commenta Tapia – sono i traguardi che si possono raggiungere scendendo in strada con costanza, come è successo in Colombia l’anno scorso e ancor prima nel 2019, all’epoca in contemporanea con l’Ecuador. Il nostro è un Paese diverso, ma il messaggio che porta con sé la vittoria di Petro è importante: anche una destra forte come quella colombiana può essere sconfitta”, conclude.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it


California Consumer Privacy Act (CCPA) Opt-Out IconLe tue preferenze relative alla privacy