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Carlos Larrea (Università di Quito): “Lasciamo il petrolio sottoterra”

Il professore ecuadoriano a Padova per parlare di un referendum contro gli idrocarburi e di un nuovo modello Amazzonia

Pubblicato:05-03-2024 17:26
Ultimo aggiornamento:05-03-2024 17:28

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ROMA – “Dobbiamo lasciare il petrolio sottoterra” dice Carlos Larrea Maldonado, professore di ambiente e sostenibilità dell’Università andina Simon Bolivar di Quito. Parte da un referendum che si è tenuto nel suo Paese, l’Ecuador, e fissa poi un nuovo traguardo da raggiungere a Belem, nell’Amazzonia brasiliana.
L’occasione del colloquio con l’agenzia Dire è la “lectio magistralis” che il docente ha tenuto a Padova, in collaborazione con il Centro di eccellenza per la giustizia climatica e il corso di laurea dell’ateneo in ‘Climate Change and Diversity: Sustainable Territorial Development’.

LOCALE E GLOBALE

Lo sguardo è allora locale e globale, latino-americano ed europeo allo stesso tempo. “L’Ecuador è oggi il primo Paese esportatore di petrolio al mondo ad aver tenuto un referendum contro l’estrazione degli idrocarburi” sottolinea Larrea, ricordando il voto dell’agosto scorso per difendere dalle trivelle una zona del parco nazionale Yasunì, una riserva amazzonica ricca di biodiversità: “Gli ecuadoriani hanno deciso con una maggioranza del 59 per cento di lasciare il petrolio sottoterra, dunque di non estrarlo”. Il professore sottolinea il valore del referendum, “uno strumento di democrazia diretta”, e aggiunge: “Si è preferito tutelare la biodiversità e la ricchezza culturale del parco piuttosto che ottenere risorse economiche immediate, derivanti da un’estrazione degli idrocarburi che provoca distruzioni”. Secondo Larrea, “un meccanismo simile si può applicare in altri Paesi amazzonici, sulla base dell’esperienza dei popoli e delle comunità”. La premessa è che “il petrolio non ha portato né sviluppo né migliori condizioni di vita ma invece inquinamento e malattie”.

LA PRIMA “COP” IN AMAZZONIA

L’orizzonte è anche quello della Cop 30, la conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici prevista nel 2025 nella città amazzonica di Belem. “Oggi”, evidenzia Larrea, “sia il governo del Brasile di Luiz Inacio Lula da Silva che quello della Colombia di Gustavo Petro hanno proposto politiche molto serie e coerenti con l’obiettivo di ridurre la deforestazione e l’impatto delle attività estrattive”. Secondo il professore, “nel caso dell’esecutivo di Bogotà c’è stato un impegno a ridurre l’uso dei combustibili fossili e a favorire una transizione energetica”. C’è poi il Brasile, il Paese più grande e popoloso del Sudamerica, ospite della conferenza Onu. “Speriamo che in occasione della Cop 30 sia possibile definire politiche di tutela dell’Amazzonia”, sottolinea Larrea, “per una transizione dai combustibili fossili a forme di energia rinnovabili”. All’appuntamento a Belem si arriverà dopo due conferenze in Paesi esportatori di petrolio e gas: il Qatar nel 2023 e l’Azerbaigian alla fine di quest’anno. Larrea è però convinto che ottenere risultati sia comunque possibile. Lo evidenzia anche come esponente del Comitato direttivo del Trattato per la non-proliferazione dei combustibili fossili (Ffnpt), un’alleanza nata nel 2019 a partire da iniziative di comunità particolarmente vulnerabili, latino-americane e non solo. “A impegnarsi sono movimenti per la giustizia climatica, organizzazioni native e della società civile” dice il professore. “Tra i firmatari del Trattato figurano poi anche 12 Stati, dei quali 11 hanno aderito solo nel 2023; e tra i sostenitori ci sono il Parlamento europeo, insieme con più di cento città, da Sydney a Lima”.


DE MARCHI (UNIPD): NON CRIMINALIZZARE LE AZIONI GIOVANI PER IL CLIMA

Attenzione a “non criminalizzare le azioni dell’attivismo climatico”: è il monito rivolto dal professor Massimo De Marchi, coordinatore all’Università di Padova della laurea internazionale in ‘Climate Change and Diversity: Sustainable Territorial Development’. “Oggi ci sono persone giovani che stanno pagando” sottolinea il docente, in un’intervista con l’agenzia Dire. “Sono giovani che affrontano adesso spese giudiziarie e che rischiano il carcere; e rischieranno di pagare anche in futuro per i danni climatici causati dalle generazioni che li hanno preceduti”. Secondo De Marchi, “la criminalizzazione dell’attivismo climatico in tutte le parti del mondo è qualcosa che ci deve interrogare”. L’occasione dell’intervista, in video-collegamento, è una “lectio magistralis” del professore ecuadoriano Carlos Larrea organizzata dall’Ateneo di Padova. “Qui c’è una lunga tradizione sulle tematiche della giustizia ambientale”, sottolinea De Marchi: “A confermarlo la nascita alcuni anni fa del Centro di eccellenza Jean Monnet e collaborazioni internazionali come quella con l’università di Larrea, la Simon Bolivar di Quito”. La “lectio magistralis” ha dato il via all’insegnamento “Cambiamenti climatici e adattamenti negli ecosistemi e nelle società tenuta dal professore Salvatore Pappalardo, della Scuola di ingegneria.

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