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Morte psichiatra, gli Ordini dei medici: “La violenza contro di noi è un’emergenza nazionale”

Il caso di Barbara Capovani uccisa a Pisa ricorda quello di Paola Labriola, ammazzata con 57 coltellate nel 2013 a Bari. Ma in questi 10 anni "ci sono problemi che non sono stati risolti": i medici lanciano l'allarme

Pubblicato:24-04-2023 11:56
Ultimo aggiornamento:25-04-2023 17:32
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ROMA – La violenza contro gli operatori sanitari “è una emergenza nazionale, il 55% dei colleghi riferisce di aver subito violenza. Chiediamo al Governo di risolverla, così come è stato bravo e veloce a risolvere altre emergenze”. A richiamare l’attenzione sul problema delle aggressioni a medici e personale sanitario è la Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, dopo il caso della morte della psichiatra Barbara Capovani, uccisa a Pisa da un paziente dell’ospedale psichiatrico. Un caso che porta alla mente quello di dieci anni fa, quando a Bari ci fu un altro barbaro incidente, che ebbe per vittima la psichiatra Paola Labriola, uccisa con 57 coltellate il 4 settembre 2013. Un caso talmente drammatico che innescò una grande mobilitazione e per la prima volta portò l’attenzione su un problema già esistente allora. Ma in 10 anni, a quanto pare, ancora non è stato risolto.

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COSA È STATO FATTO FINO A ORA

A parlare è il presidente della Fnomceo Roma, Filippo Anelli, intervenuto in mattinata a Unomattina: “La violenza è sempre una sconfitta, non solo per chi la subisce ma per l’intera società. Dalla morte di Paola Labriola è nato un movimento che ha portato a una serie di risultati. Ma esistono problemi che non sono stati risolti, e oggi siamo qui a piangere un’altra collega“.


Cosa è stato fatto fino a ora per proteggere medici e operatori sanitari dalle aggressioni di pazienti con problemi mentali? “Abbiamo una legge che oggi, grazie agli ultimi interventi di questo Governo, porta alla procedibilità d’ufficio anche se la violenza è lieve- spiega Anelli-. Ma persistono problemi di carattere culturale e organizzativo. Non abbiamo il tempo per parlare con i malati. La legge del 2017 che indica la comunicazione come tempo di cura non è realizzabile, per la carenza di personale, per il numero esiguo delle figure professionali. C’è la necessità di fare una riforma”.

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“SERVONO MEDIATORI CULTURALI NEI PRONTO SOCCORSO”

I medici, spiega ancora il presidente della Fnomceo, pensano che il governo debba trovare una soluzione a questo problema che è sempre più evidente, se serve anche individuando “un settore specifico dedicato a proteggere gli operatori sanitari”. Spiega ancora Anelli: “Il 48% degli operatori sanitari pensa sia normale che il ministro della Salute avvii soluzioni, compreso l’aumento di personale e la presenza di mediatori culturali nei pronto soccorso, perché a volte il dolore obnubila la mente”.

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ZANALDA: “CATEGORIA CHE SUBISCE PIÙ VIOLENZA DOPO OPERATORI PS”

La notizia dell’uccisione a Pisa a sprangate di uno psichiatra, è giunta anche nelle sale del XXVI Congresso nazionale della Società nazionale degli psichiatri forensi in corso ad Alghero fino a domani. “Ammesso che l’autore di questo atto sia un paziente, le motivazioni si spiegano attraverso l’identificazione della malattia nello stesso medico che da curante diventa suo persecutore. Si tratta di una persona- precisa dalla sede del Congresso Sipf, Enrico Zanalda, Presidente della Società italiana di psichiatria forense- che non riconoscendo la sua patologia, attribuisce al medico il pericolo che avverte a causa della propria patologia e lo identifica come persecutore. E’ come se, sopprimendo lui, sopprimesse la propria angoscia e terrore”.

“Quello degli psichiatri è un lavoro ‘pericoloso. E’ la categoria che subisce più violenza fisica, dopo gli operatori al Pronto Soccorso. Trattiamo persone che hanno difficoltà a gestire gli impulsi, e non è sempre facile capire se ci sono messaggi più pericolosi di altri. E’ vero anche che se ci sono minacce precedenti, vanno prese sul serio e segnalate in Procura. La malattia, specie se acuta, determina uno sconvolgimento emotivo oltre che nel malato anche nelle persone vicine a lui. Nei reparti di psichiatria- spiega Zanalda- la questione è legata soprattutto alla mancanza di consapevolezza della malattia che, se presente, determina una mancata collaborazione alle cure e talvolta il rifiuto delle stesse. Questi aspetti poi vengono talvolta enfatizzati dalla scarsa diffusione culturale delle problematiche collegate alla salute mentale”.

“Non generalizziamo però la condizione del paziente psichiatrico con un collegamento semplicistico e stigmatizzante che determina eccessivo allarme sociale e paura dei nostri pazienti che nella stragrande maggioranza dei casi sono collaboranti e non violenti. Sarà la perizia psichiatrica ad attribuire la responsabilità della persona. Lo stigma verso la salute mentale- conclude Zanalda- è dannoso quanto lo scarso finanziamento dei servizi di salute mentale che ancora avviene a distanza di oltre 40 anni dalla legge Basaglia”.

“In media vengono registrati 2.500 casi l’anno di infortuni legati all’evento aggressione nel comparto della sanità e assistenza sociale, la maggior parte di essi avviene in case di cura e ospedali, a essere più colpite sono le operatrici sanitarie di sesso femminile (75% dei casi). I medici riferiscono un incremento di aggressioni del 63% dal 2011 al 2018, con una esplosione non quantificata legata al lockdown. E’ stabile il trend negli anni di aggressioni al personale sanitario che è purtroppo pari a circa 35 episodi / 10.000 addetti. I dati sottolineano come le donne siano più esposte, e come vi sia un progressivo spostamento verso i luoghi di esercizio della medicina territoriale (domicilio, strutture non ospedaliere). Esiste una legge- interviene Giovanna Crespi, psichiatra e segretario nazionale della Società italiana di psichiatria forense- che contiene delle buone proposte per tutelare i professionisti della sanità, anche se non è sufficiente perché serve maggiormente investire sulla professionalità e sulla tecnologia per rendere più efficiente il servizio sanitario. Attualmente la gran parte delle aggressioni (verbali e non solo), non vengono denunciate perché il sanitario dovrebbe effettuare direttamente l’esposto. Questo oltre che un’ulteriore perdita di tempo, rende il medico visibile all’autore del reato che potrebbe in futuro effettuare delle ritorsioni. Numerosi sono gli operatori sanitari che hanno il timore ad esporsi presentando la denuncia e perciò il fenomeno è sottostimato”.

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