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La giuria popolare del Teatro Parioli di Roma ha assolto Paolina Bonaparte. Per la maggioranza dei giurati seduti in platea la principessa non ha tentato di raggirare il marito, Camillo Borghese, inducendolo a vendere 695 opere – tra statue, vasi e rilievi – della collezione di famiglia al fratello Napoleone per la cifra di 13 milioni di franchi. Si è conclusa così la seconda serata de ‘La Storia a Processo! Colpevole o Innocente?’, il format ideato da Elisa Greco e andato in scena sul palco del celebre teatro romano, per una sera trasformato in un’aula di tribunale.
A presiedere la Corte è stata la parlamentare Simonetta Matone, già sostituto procuratore generale alla Corte d’Appello di Roma. Il pubblico ministero è stato interpretato da Fabrizio Gandini, giudice del Tribunale di Roma, mentre l’avvocato penalista e viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, si è battuto per la difesa.
I testimoni dell’accusa sono stati Giulia Silvia Ghia, nei panni della pittrice Marie-Guillemine Benoist, che ha ritratto – e raccolto molte confidenze – di Paolina Bonaparte, e Luigi Contu, direttore dell’Ansa. Per la difesa sono stati ascoltati la giornalista del Tg1 Nathania Zevi, che ha interpretato in chiave moderna Maria Letizia Ramolino, nota anche come Letizia Bonaparte, mamma di Napoleone e Paolina, e la firma del ‘Corriere della Sera’ Giuseppe Di Piazza, per una sera diventato il celebre architetto Andrea Vici. Testimone ‘a sorpresa’ David Parenzo, nei panni di Ennio Quirino Visconti, il famoso esperto d’arte che nel 1807 scelse e stimò i pezzi poi trasferiti a Parigi.
A Paolina Bonaparte è stato contestato in particolare il reato di circonvenzione di incapace, secondo quanto previsto dall’articolo 643 del codice penale. Per l’accusa avrebbe approfittato della sudditanza psicologica del marito inducendolo a vendere il suo patrimonio in favore del fratello, Napoleone, che poi lo avrebbe esposto al Louvre di Parigi, dove tuttora si trova. E nel frattempo avrebbe condotto una vita fatta di tradimenti, collezionando anche più di trenta amanti.
Accuse smontate dalla stessa Paolina, per bocca di Annamaria Malato, editrice e presidente di “Più libri più liberi”. Che ha anche rivendicato la scelta della donna di posare nuda per Canova e per la statua di ‘Venere vincitrice’, attirando “frotte di guardoni”, come più volte stigmatizzato dal pm Gandini.
“È stato un amore contrastato, è vero, ma questa è stata una vendita, non un esproprio. Sono solo una donna moderna e lontana dalle regole, ma non può questo mio modo di essere diventare motivo d’accusa”, ha detto Malato-Paolina Bonaparte.
Piuttosto, è stata la ricostruzione poi ritenuta vera dai giurati, la vendita delle opere ci sarebbe stata perché lo stesso Camillo Borghese, nobile e potente, non avrebbe resistito alla tentazione di ottenere denaro e terre in cambio di parte delle opere.
“Antonio Canova si confidava con me, e mi raccontava che Camillo Borghese aveva già venduto opere preziosissime per bisogno di soldi – ha detto Di Piazza interpretando Andrea Vici- Quando ha incontrato a Parigi la giovane Paolina è nato un vero amore, anche se il matrimonio è stato un’opera politica. Ma la verità è che i Borghese avevano bisogno di soldi in quanto sotto pressione fiscale da parte dei francesi. Per questa ragione Paolina non può essere accusata di aver circuito Camillo e usato la relazione per affari personali”.
Il verdetto di innocenza, ha commentato infine Greco, “nella sua conflittualità riflette la complessità del nostro giudizio diviso tra il rammarico nel sapere sapere i nostri capolavori artistici all’estero e nel contempo l’orgoglio del respiro internazionale per opere d’arte che hanno la forza di raccontare la nostra storia anche oltre i confini del nostro Paese”.
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