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Migranti, attivista: “In Bielorussia volontari finiti, tutti in carcere”

"Chi non è in prigione è stato costretto all'esilio, per cui oggi il Paese è alla mercè del dittatore"

Pubblicato:16-11-2021 19:28
Ultimo aggiornamento:16-11-2021 20:12

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ROMA – “Veniamo contattati di continuo da persone che ci chiedono di indicargli associazioni attive in Bielorussia per aiutare i migranti bloccati al confine. Purtroppo nessuno si rende conto che in Bielorussia tutti gli attivisti sono dietro le sbarre. Ormai basta pochissimo per finire in carcere, la gente è spaventata e ci si preoccupa solo della propria famiglia. Penso che se ci avessero aiutati a vincere la rivoluzione, oggi probabilmente non ci sarebbe nessuna crisi umanitaria al confine con la Polonia”. A parlare con l’agenzia Dire è un’attivista dell’Associazione dei bielorussi in Italia – Supolka, che chiede di restare anonima per motivi di sicurezza.

L’attivista infatti denuncia che nel suo Paese di origine “si arrestano di continuo giornalisti, intellettuali, dissidenti, attivisti”, e che i prigionieri di coscienza hanno raggiunto quota 862, così come riferisce l’ong Viasna, a sua volta colpita da vari arresti tra i suoi vertici. “Purtroppo- continua l’attivista di Supolka- le persone si rendono conto delle cose sempre troppo tardi. Bisognava che esplodesse questa crisi per accorgersi di ciò che accade in Bielorussia”. L’attivista avverte ancora: “Chi non è in prigione è stato costretto all’esilio, per cui oggi il Paese è alla mercè del dittatore”.

Il riferimento è al presidente Aleksandr Lukashenko, accusato di ricoprire il sesto mandato dopo aver “rubato” il risultato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020 alla candidata di opposizione Svetlana Tsikhanoskaya. I sostenitori dell’oppositrice, ma anche persone contrarie al sesto incarico del presidente, hanno organizzato manifestazioni di piazza che hanno incontrato una forte opposizione da parte delle autorità e poi una battuta d’arresto nel giugno scorso, quando sono state chiuse decine di organizzazioni della società civile e inaspriti arresti e condanne contro i dissidenti.


Tsikhanoskaya, che si definisce un’esule all’estero, in questi giorni ai media internazionali ha dichiarato che le minacce di Minsk all’Europa di chiudere i gasdotti “sono solo un bluff”, quindi ha lanciato un appello alle autorità europee, e alla Germania in particolare, affinché esercitino pressioni economiche su Minsk per porre fine alla crisi umanitaria al confine.

La Bielorussia è accusata di aver facilitato l’arrivo di migliaia di migranti dal Medioriente, semplificando l’ottenimento del visto, per poi costringerli ad ammassarsi lungo le frontiere di Polonia e Lituania per esercitare pressioni su Bruxelles. Convinta di tale strumentalizzazione dei migranti da parte di Minsk, l’Unione europea (Ue) ieri ha approvato un nuovo regime di sanzioni contro individui e organizzazioni bielorusse. I difensori dei diritti umani però accusano sia l’Ue che le i governi di Polonia e Lituania di violazioni: le persone – provenienti da Siria, Iraq, Yemen, Afghanistan ma anche Paesi africani – vengono sistematicamente respinte indietro dagli agenti di frontiera sebbene le norme internazionali riconoscano il diritto di presentare domanda d’asilo.

Dal canto suo, Minsk nega ogni coinvolgimento, e oggi i media di stato hanno annunciato l’allestimento di un centro per migranti d’emergenza non lontano dalla frontiera, per evitare che i profughi trascorrano la notte all’aperto. Ieri intanto il governo iracheno ha annunciato che a partire da giovedì saranno disponibili dei voli per rimpatriare i proprio cittadini bloccati tra Polonia e Bielorussia “su base volontaria”. Secondo Baghdad, ce ne sarebbero almeno 571 nei boschi che separano i tre paesi dell’Europa nord orientale.

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