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Ruanda, quello sguardo del cinema contro ogni genocidio

"Narrazioni a confronto" nel lavoro di ricerca delle due autrici Maria Chiara Vitucci e Isabella Castrogiovanni

Pubblicato:16-04-2024 17:12
Ultimo aggiornamento:16-04-2024 17:12

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ROMA – Le immagini arrivano dove non osano mille parole; e però anche lo sguardo può essere parziale, nonostante ci si allontani nel tempo e nello spazio, cercando distacco. Ne parlano, di questa visione distorta, Maria Chiara Vitucci e Isabella Castrogiovanni. L’occasione è la presentazione a Roma del loro libro, ‘Lo sguardo del cinema sul genocidio dei tutsi in Ruanda’ (Editoriale scientifica). Il sottotitolo è “narrazioni a confronto”; il riferimento al trentennale delle violenze e degli agguati nei quali, tra l’aprile e il luglio 1994, furono uccise almeno 800mila persone.

“UNA VISIONE DISTORTA, MASCHILE E OCCIDENTALE”

“Il cinema è uno strumento straordinario” sottolinea Vitucci, professoressa di Diritto internazionale all’Università della Campania Luigi Vanvitelli nonché co-direttrice per Editoriale scientifica della collana ‘Cinema diritto società’. Poi, sul lavoro di ricerca, analisi e confronto alla base del libro: “Abbiamo visto tanti film sul genocidio ma lo sguardo è ancora parziale, perché la maggior parte sono opere di registi maschi e occidentali; e lo sguardo complessivo è allora inevitabilmente distorto”.

L’occasione delle interviste con l’agenzia Dire è la presentazione del libro alla biblioteca della Fondazione Lelio Basso. Si parla di film visti anche in Italia, come ‘Hotel Rwanda’ del regista britannico Terry George, incentrato sulla figura di Paul Rusesabagina, l’albergatore poi oppositore politico che contribuì a salvare oltre mille persone. Ci sono però anche altre prospettive, non europee o nord-americane né al maschile. E tra le nuove testimonianze c’è ‘The Bride’, di Myriam  Uwiragiye Birara, una regista congolese-ruandese premiata alla Berlinale come giovane promessa. A Kigali e al Ruanda torna Castrogiovanni, oggi funzionaria di Unicef, il Fondo dell’Onu per l’infanzia, e residente a Bruxelles. La sua prima missione nel Paese, sempre per conto delle Nazioni Unite, con un impegno in favore della tutela e dei diritti umani, risale a un periodo compreso tra il 1995 e il 1997. “Quell’esperienza si è associata alla passione per il cinema” dice Castrogiovanni sull’origine del lavoro di ricerca e scrittura. Ma attenzione: non di solo cinema si tratta. “A 30 anni da quei cento giorni e visto quel che accade nel mondo oggi”, avverte l’autrice, “è ancora necessario e urgente continuare a parlare di genocidio”. I riferimenti sono ai nuovi rischi, dal Sudan al Medio Oriente. Secondo Castrogiovanni, “la prospettiva del dibattito deve essere come prevenire e come reprimere un crimine come questo”.


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