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L’italiano in Estonia: “È finito il sale russo”. Ora tocca alla Cina

L'imprenditore Enrico Gino Levi vive nella capitale Tallinn dal 2003. "C'è stata una stretta sulle importazioni dalla Russia e il Governo vuole aumentare le spese militari a 1 miliardo di dollari all'anno"

Pubblicato:15-03-2022 18:34
Ultimo aggiornamento:15-03-2022 18:34

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ROMA – In Estonia dagli scaffali dei negozi è scomparso il sale, che arrivava dalla Russia. E mentre il Parlamento vota per una no-fly zone in Ucraina, a proteggere gli estoni potrebbero pensare i cinesi, che hanno comprato terreni nell’area del porto. Istantanee e forse pure paradossi a Tallinn, avamposto ex sovietico della Nato a 370 chilometri da San Pietroburgo.

A raccontare all’agenzia Dire come siano cambiati vita quotidiana e dibattito pubblico dopo il 24 febbraio, con l’inizio dell’offensiva russa verso Kiev, è un imprenditore di origini milanesi. Si chiama Enrico Gino Levi e domani commemorerà il Purim, la festa per la salvezza degli ebrei in Persia. A Tallin, la capitale della più settentrionale delle repubbliche baltiche, vive dal 2003. “Il sale è scomparso d’improvviso perché c’è stata una stretta sulle importazioni dalla Russia“, spiega, prima di parlare di politica.

italiano in estonia

“Qui in pochi sembrano avere paura anche se tra gli anziani c’è chi ricorda il periodo sovietico, cominciato nel 1939 e finito nel 1991, e adesso è più inquieto degli altri; il punto è che sembra esserci un interesse a coltivarla, questa paura, collegando il rischio di invasione con la necessità di aumentare il budget per la difesa fino a un miliardo di dollari l’anno: un assurdo se si pensa come il Pil nazionale, in un Paese di appena un milione e 300mila abitanti, dei quali 300mila di origine russa, non superi i 28 miliardi”.


A sostegno della sua lettura, Levi porta un editoriale pubblicato oggi dal quotidiano Postimees, uno dei principali dell’Estonia. Il titolo è ‘Bisogna fare seri preparativi per la guerra’. Con la tesi che “la sola deterrenza non basta più” e la constatazione che “il tempo della pace in Europa è finito”, il giornale invoca un incremento delle spese militari di 380 milioni di dollari, come chiesto già settimane fa dalla prima ministra Kaja Kallas. Proprio ieri, peraltro, il Parlamento dell’Estonia è diventato il primo in un Paese dell’Ue e della Nato a chiedere la creazione di una zona di interdizione al volo in Ucraina. Un passo finora escluso dalla stessa Alleanza atlantica per via dei rischi di un conflitto aperto con Mosca che comporterebbe.

In riva al Baltico, secondo Levi, aumentare le spese militari non sarebbe comunque risolutivo. “Bisogna considerare che da San Pietroburgo i carri armati impiegherebbero pochissimo per arrivare a Tallinn“, osserva l’imprenditore, ricordando come l’Estonia sia pianeggiante e come la sua superficie sia un trecentesimo di quella della Russia. “Se nella capitale si vive benissimo, spostandosi a est verso il Lago dei Ciudi e il confine la situazione cambia molto: invece di comprare missili si potrebbe investire per aiutare le regioni del Paese meno sviluppate“.

Secondo Levi, garanzie di sicurezza per l’Estonia esistono, e non tutte sono riconducibili all’adesione alla Nato nel 2004. “Questo è un piccolo Paese e nonostante 31 anni di indipendenza nazionale a decidere sono spesso altri”, sottolinea l’imprenditore. “Le banche sono controllate dagli svedesi, mentre i cinesi hanno acquistato terreni nell’area del porto: di loro si è parlato pure per un progetto di tunnel sottomarino da Tallinn a Helsinki”.

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