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I familiari delle vittime del Ponte Morandi: “Cinque anni di dolore, vogliamo giustizia”

Il sistema autostradale sicuro "è ancora una chimera, dopo la marea di controlli post tragedia e l’impennata dei giudizi negativi pare che tutto si stia placando"

Pubblicato:14-08-2023 14:46
Ultimo aggiornamento:14-08-2023 14:47
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GENOVA – “Ringraziamo di cuore innanzitutto tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione degli eventi per questo anniversario, ringraziamo gli artisti che si sono esibiti in questi due giorni, ringraziamo gli amici di Masone per il loro costante affetto, ringraziamo tutti i presenti e tutti i cittadini che ci sono vicini con le loro parole e con i loro gesti”, scrive sui social il Comitato parenti vittime Ponte Morandi nel giorno della commemorazione della tragedia ricordando che “sono trascorsi cinque anni da quel maledetto giorno, cinque anni in cui ci siamo ritrovati a vivere in un tempo sospeso, anni in cui abbiamo imparato ad essere pazienti, anni in cui abbiamo lottato contro l’oblio, anni in cui abbiamo dovuto sentire in quell’aula di tribunale la realtà prendere forma, ascoltare con il nostro cuore i fatti nudi e crudi che hanno portato a tutto questo”.

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Quindi “nostro malgrado” i parenti delle vittime sono “protagonisti di un evento che ha aperto molti occhi, ha privato di molti veli un sistema scellerato, che oltre ad avere minato il ponte Morandi, ha reso più fragili i nostri valori costituzionali come l’equità, la dignità sociale, la libertà, un evento che è stato dirompente come quell’esplosivo che ha fatto saltare i residui del ponte spezzato. Dopo il frastuono terrificante, le urla, le sirene, le lacrime, i proclami, a poco a poco tutto sta scivolando nella nebbia, fitta, fitta”. E sottolineano che “tutto questo rappresenta uno dei sistemi che ci stanno stritolando, molto ben oleato, con accaparramento di risorse pubbliche per l’interesse di pochi, un sistema che vive come un parassita, condannando alla gogna la maggioranza dei cittadini, questo sistema si sta riprendendo il suo spazio, come sa fare molto bene”.


Non solo. La percezione del Comitato parenti vittime Ponte Morandi è che quanto sta “avvenendo sotto i nostri occhi nell’aula di tribunale in questo maxi processo, non riesca ad incidere sulla società, la verità che sta emergendo forte ed inaccettabile per la sua crudezza, non influenza purtroppo in modo significativo la pubblica opinione, troppo distaccata dalla realtà, troppo presa nei suoi pensieri personali”. Il sistema autostradale sicuro “è ancora una chimera, dopo la marea di controlli post tragedia e l’impennata dei giudizi negativi pare che tutto si stia placando, alcuni interventi sono stati eseguiti, ma di recente un preoccupante evento in una galleria ha evidenziato quanto la prevenzione incendi approfondita sia ancora troppo lontana, non attuata, se non a macchia di leopardo, il sistema è ancora dannatamente fragile”.

Di recente dicono dal Comitato, “la magistratura, in altre vicende, si è espressa con giudizi dal nostro punto di vista molto preoccupanti, non è accettabile che infrastrutture fatiscenti possano essere considerate ‘correttamente manutenute’, con rammarico anche questo ci fa comprendere quanto la nostra tragedia sia stata poco incisiva, purtroppo non ha insegnato quasi nulla. Abbiamo anche imparato, se ce ne fosse stato bisogno, che alle parole devono seguire i fatti, abbiamo appreso che gli interessi economici di alcune parti sono sempre al centro dell’attenzione nelle agende di chi può decidere e che anche nell’informazione generale, si miri spesso, salvo nelle fasi acute del problema, a minimizzare il male. Abbiamo imparato che lo Stato non ha fatto i suoi interessi in questa vicenda, sia scrivendo una concessione inaccettabile, sia acquisendo senza fiatare e quasi genuflesso i controlli eseguiti da chi avrebbe dovuto essere il controllato, infine giungendo a patti con questo nemico”.

Per il Comitato la “chiusura amministrativa di questa vicenda resta e resterà per sempre una pugnalata gravissima, che non potremo mai dimenticare, come parenti delle vittime e come cittadini. Dagli organi democraticamente eletti e dai dipendenti pubblici interessati nella vicenda, ognuno per la sua parte, ci saremmo aspettati molto di più, ci sono responsabilità molto diverse che si sono sedimentate negli anni, che hanno portato al triste epilogo che conosciamo, tutti dobbiamo comprendere che ogni piccola azione diventa parte di un sistema e che sommata ad altre azioni porta a conseguenze, a volte inaspettate, su questo dobbiamo riflettere ogni giorno della nostra vita”.

Prosegue la denuncia del Comitato: “Abbiamo anche sentito in aula troppi ‘non so’, troppi ‘non ricordo’, l’assenza di verifica sull’applicazione delle direttive date, pensiamo che anche questo dovrebbe essere un importante compito di un ministro. Anche dai tecnici, dagli ingegneri incaricati delle valutazioni ci saremmo aspettati di più, è emersa purtroppo in questa vicenda tanta approssimazione, tanta incompetenza, sono emerse valutazioni errate, edulcorate, anche tutto questo ha contribuito alla creazione del substrato, su cui si è sviluppata questa tragedia”.

E ancora: “Ci sono poi stati i testimoni, molte persone che conoscevano le problematiche di questo ponte ed hanno taciuto, hanno fatto finta di non sentire, hanno ‘scherzato’ con la vita di milioni di persone, non hanno avuto il minimo senso civico di parlare, di instillare il dubbio negli inquirenti, di fare quello che un comune cittadino dovrebbe fare sempre, ed anche loro sono parte della vicenda. Poi ci sono gli imputati per cui attendiamo il verdetto finale, siamo ancora fiduciosi che il valore costituzionale della giustizia qui possa trovare terreno fertile, fino ad ora nessun imputato pare esprimere dubbi sul suo operato, nessuno pare fare accenno a qualche errore, noi speriamo che la verità possa emergere con forza in tutti i gradi di giudizio, noi non staremo certo a guardare, saremo vigili fino alla fine”. E ci sono coloro che “avendo beneficiato di utili a profusione, stanno cercando di rifarsi una verginità, magari diversificando i loro interessi, magari cercando di specializzarsi in attività alternative, magari producendo un buon bicchiere di vino (buono, forse), per questi soggetti non ci siamo ancora rassegnati ad accettare che sia finita così, vedremo se la storia saprà darci anche qui un pò di giustizia”. I loro familiari “non potranno più portare avanti la loro vita, non potranno più diversificare i loro interessi, non potranno più vedere questo mondo con gli occhi umani e questo è un grande peso sul nostro cuore, forte e continuo, è faticoso vivere così- lo sfogo del Comitato-, ma loro sono sempre nei nostri pensieri, sono la nostra forza, tutte le nostre azioni sono indirizzate a dare loro dignità, anche con un disegno di legge che stiamo aspettando da cinque anni che certifichi che loro sono stati vittime dell’incuria umana, loro sono vittime che uno stato democratico deve saper onorare”.

Quindi ricordando che “è un dovere dare questa risposta” il Comitato si appella “al Parlamento affinché i nostri cari possano avere almeno questo. Sta nascendo il Memoriale della tragedia che dovrà essere luogo di ricordo e racconto ma anche luogo di costruzione di un nuovo futuro, questo progetto sta crescendo e sta maturando costantemente e ne siamo felici”. E chiudono con “un pensiero che rappresenta un po’ quello che è il sentimento che ci consente ancora di dare un senso alla nostra vita. Una leggenda Apache narra che: ‘Tutti noi barattiamo un pezzo della nostra anima con chi ci ama. L’altro ha un pezzo della tua, e tu hai un pezzo della sua. Poi quando l’amato muore, c’è una parte di te che muore con lui. Per questo stai così male, ma quel frammento della sua anima è ancora dentro di te e può continuare a vedere il mondo attraverso i tuoi occhi”.

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