ROMA – “Lo scorso anno c’è stato un significativo decremento nell’uso della pena di morte”. Lo evidenzia Amnesty International, che oggi diffonde il report annuale su ‘Condanne a morte ed esecuzioni’. L’ong ha registrato almeno 993 esecuzioni in 23 Stati, il 4 per cento in meno rispetto alle 1032 esecuzioni del 2016 e il 39 per cento in meno rispetto alle 1634 del 2015, il più alto numero dal 1989. Sono state emesse almeno 2591 condanne a morte in 53 Stati, rispetto al numero record di 3117 nel 2016.
Oltre alla Guinea, nel 2017 la Mongolia si è aggiunta al totale degli stati abolizionisti, il cui numero alla fine dell’anno era salito a 106. Dopo che il Guatemala ha abrogato la pena di morte per i reati comuni, il numero degli Stati che per legge o nella pratica hanno abolito la pena di morte è salito a 142. Solo 23 Stati, come nel 2016, hanno continuato a eseguire condanne a morte, in alcuni casi dopo periodi di interruzione.
In Iran le esecuzioni registrate sono diminuite dell’11 per cento rispetto al 2016 e la percentuale delle esecuzioni per reati connessi alla droga è scesa del 40 per cento. In Malesia è stata introdotta la discrezionalità della pena nei processi per traffico di droga.
“Il fatto che alcuni Stati continuino a ricorrere alla pena di morte per i reati connessi alla droga resta preoccupante. Ma la decisione presa da Iran e Malesia di emendare le leggi sui narcotici mostra che persino nella minoranza di Stati che ancora eseguono condanne a morte si sono aperte delle crepe”, ha commentato Shetty. L’Indonesia, che aveva messo a morte quattro prigionieri per reati connessi alla droga nel 2016 in un maldestro tentativo di stroncare la criminalità legata agli stupefacenti, non ha eseguito alcuna condanna a morte nel 2017 e ha fatto registrare una lieve diminuzione del numero delle nuove condanne.
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