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Sudan, Noury (Amnesty): “Anche la Ue responsabile del conflitto”

Mentre la Turchia e l'Arabia Saudita si propongono per ospitare negoziati di pace, c'è chi in queste ore chiama in causa le responsabilità dell'Unione europea per il conflitto che non si placa in Sudan

Pubblicato:09-05-2023 20:41
Ultimo aggiornamento:09-05-2023 20:41

amnesty international sudan
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ROMA – Le violenze in Sudan tra esercito regolare e miliziani delle Forze di supporto rapido non cessano: l’Onu avverte che i morti potrebbero essere 700, mentre l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) avverte che in una settimana gli sfollati sono raddoppiati da 350mila a 700mila. Cresce anche la pressione sui paesi vicini: 70mila in Egitto, quasi 30mila in Ciad e 43mila in Sud Sudan. A migliaia anche quelli che hanno varcato il confine con l’Etiopia. Una crisi umanitaria a cui si aggiunge quella delle decine di migliaia di rifugiati che in Sudan avevano trovato un posto sicuro, e ora si trovano in trappola nei campi profughi o nelle città come Khartoum raggiunte dalla guerra: eritrei, etiopici, sudsudanesi, ma anche siriani e yemeniti.

Mentre la Turchia e l’Arabia Saudita si propongono per ospitare negoziati di pace, c’è chi in queste ore chiama in causa le responsabilità dell’Unione europea. Tra questi c’è Riccardo Noury, il portavoce di Amnesty International, che all’agenzia Dire ricorda i possibili fondi europei a esercito e paramilitari dell’Rsf “attraverso il Trust Fund dell’Ue”.

Tale fondo “di emergenza per l’Africa”, varato nel 2015 e chiuso nel 2021 per “affrontare le cause profonde delle migrazioni e gli sfollati in Africa”, ha varato progetti per un valore di 3.9 miliardi di euro tra il 2015 e il 2019, arrivando a 5 miliardi nel 2021.


“Quell’iniziativa- dice Noury- avrebbe dovuto occuparsi dei gruppi vulnerabili come donne, minori e sfollati, contribuendo a definire politiche coerenti e comuni sulle migrazioni con gli stati africani. Ha quindi destinato fondi alle autorità sudanesi. Il problema è che potrebbero essere finiti nelle casse di Khartoum in un momento in cui le forze regolari e i paramilitari delle Rsf erano alleate, finendo per esternalizzare a questi due organismi le operazioni di contrasto all’immigrazione”.

Sia l’esercito che le Rsf sono accusate di violazioni dei diritti umani e abusi contro la popolazione sia nella guerra nel Darfur dei primi anni duemila, che più di recente, dal gennaio del 2019, quando si formò un vasto movimento civile che rivendicava la democrazia e nell’aprile di quell’anno portò alla fine della trentennale presidenza del generale Omar Al-Bashir, che fu deposto dall’esercito.

In un report del 2020 Oxfam avverte del rischio di fondi alle Forze armate sudanesi, in riferimento al Better Migration Management (Bmm), un programma avviato con risorse del Trust Fund e che coinvolse anche il Sudan. Nel report si avverte che “La mancanza di comunicazioni pubbliche” renderebbe “difficile valutare se il finanziamento Bmm in Sudan sia stato sospeso in tempo per impedirne l’uso da parte delle forze di sicurezza per reprimere le manifestazioni popolari”. Tuttavia, “la seconda fase del Bmm venne avviata a maggio 2019 con 30 milioni di euro di ulteriori finanziamenti”.
La pratica di affidare a paesi extra Ue la gestione del fenomeno migratorio “è tipica”, commenta Noury. “Lo abbiamo visto con l’accordo stretto dall’Ue con la Turchia, o quello dell’Italia con la Libia”. Ma “quando si vogliono bloccare le migrazioni, invece di affrontarne le cause, si rischia di compiere violazioni”, il monito del responsabile.

Secondo il portavoce di Amnesty l’Ue sarebbe responsabile anche di “non aver sostenuto a sufficienza né il movimento dei cittadini sudanesi che chiedeva democrazia nel 2019″ e poi, dopo la caduta di Bashir, di aver “ignorato breve parentesi del governo civile di transizione”.
Noury conclude citando la questione del mandato di arresto internazionale che la Corte penale dell’Aia ha spiccato anni fa contro Bashir e vari esponenti delle forze armate e dell’Rsf, per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel Darfur: “I leader che oggi si combattono in Sudan- dice Noury- avrebbero dovuto rispondere da tempo alla giustizia. Certo, non è una responsabilità diretta dell’Ue o dell’Aia, ma il fatto che Al-Bashir fino al 2019 abbia viaggiato per tutta l’Africa e in questi giorni sia stato addirittura scarcerato dalle autorità sudanesi, chiama un po’ in causa la comunità internazionale nel far funzionare il meccanismo della giustizia internazionale“.
Anche per finanziare il lavoro sul Sudan Amnesty ha rilanciato in questi giorni la campagna #Amnestyseitu, invitando a devolvere il 5xmille “all’impegno quotidiano contro la pena di morta e contro tutte le altre forme di violazione dei Diritti Umani”.

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