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Spazio ai giovani, Livolsi: “Fanno bene alle aziende e all’Italia”

Il professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A. nel nuovo appuntamento della sua rubrica con l'agenzia Dire

Pubblicato:10-04-2024 10:11
Ultimo aggiornamento:10-04-2024 10:11
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ROMA – Largo ai giovani. Ci sono loro al centro di una riflessione sull’oggi e sul domani dell’economia italiana di Ubaldo Livolsi. “Sulla stampa è stato giustamente dato risalto alla decisione di fine marzo di Carlo Messina, ceo di Intesa San Paolo, di riorganizzare il gruppo dirigente di prima fascia della banca dando spazio ai giovani- ha scritto il professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A. nel nuovo appuntamento della sua rubrica con l’agenzia Dire, curata da Angelica Bianco– L’età media dei nuovi manager ai vertici del maggiore gruppo italiano per sportelli e patrimonio gestito è di 49 anni e cinque di questi sono quarantenni.

‘La capacità di generare nuovi talenti manageriali- ha detto Messina- consentirà alla banca di rimanere leader in una prospettiva ultradecennale’.

Secondo una ricerca appena diffusa, realizzata da Bain & Company Italia e Key2people, una leadership aziendale più giovane farebbe crescere l’economia italiana tra l’1% e il 2%, il che corrisponderebbe in termini di Pil a 30-40 miliardi di euro.


Anche il Governo guidato da Giorgia Meloni è a più riprese tornato sull’importanza del tema del passaggio generazionale delle classi manageriali alla guida delle aziende nazionali, sia pubbliche che private. Dal mio osservatorio privilegiato di docente presso la Link Camp University di Roma, sperimento da vicino quanto complessa sia tale sfida/opportunità”.

“L’età media degli amministratori dei gruppi italiani quotati si attesta intorno ai 60 anni- ha quindi spiegato- Il nostro tessuto imprenditoriale, composto per lo più da Pmi a conduzione familiare, ha paura di delegare ed è restio ad affidare la guida della società ai manager. Anche la questione della fuga dei cervelli va letta in un modo diverso. I giovani manager vanno all’estero non solo in quanto attratti dagli stipendi più alti – il salario medio di un dirigente italiano è inferiore del 40% di quello di un francese e del 50% di uno statunitense – ma perché nel nostro Paese non viene adeguatamente riconosciuto il merito.

E in questo senso è positivo il messaggio che l’esecutivo in carica ha voluto dare chiamando il dicastero cui è a capo Giuseppe Valditara ministero dell’Istruzione e del Merito. I giovani italiani che escono dalle nostre università, cresciuti in un mondo globalizzato, basato sulle nuove tecnologie e sulla conoscenza delle lingue, al contempo sono virtualmente più preparati dei loro padri e allo stesso livello dei loro coetanei stranieri, anzi possono avere anche il vantaggio di quel retaggio di cultura umanistica proprio del nostro Paese”.

“I miglioramenti portati dai giovani manager in un’azienda- ha continuato Livolsi- sono evidenti: dalla propensione all’innovazione e al rischio alla sensibilità a tematiche quali la sostenibilità e le questioni geopolitiche alla creatività e flessibilità fino all’ attitudine all’internazionalizzazione.

È bene precisare che tutto ciò non significa che bisogna, usando una brutta parola molto di moda oggi, ‘rottamare’ la vecchia generazione di manager, che hanno know-how, esperienza, networking, che sono un patrimonio da non disperdere.

Piuttosto è necessario creare all’interno delle aziende un ponte tra vecchie e nuove leve, sia puntando sul lavoro in team, sia approntando percorsi di professional development. Bisogna però fare un ulteriore scatto in avanti, serve un cambio di paradigma, anche da parte di questo Governo, che può disporre delle risorse del Pnrr.

Non basta costruire studentati per gli universitari, che pure sono indispensabili e ben vengano. È fondamentale spezzare la logica delle lobby.

Quest’ultima non riguarda solo i sindacati (che storicamente manifestano un’idiosincrasia verso il concetto di merito), ma anche la politica, che spesso dà il cattivo esempio facendo scelte in base all’appartenenza e non al merito. È opportuno coinvolgere anche le imprese in questo cambiamento, che deve essere non solo culturale, ma pratico”.

“Vorrei qui ricordare il progetto ‘Eureka’, nella cui ideazione e messa a terra sono direttamente interessato, e in cui sono coinvolti il mondo delle istituzioni, della scuola e delle imprese, che consente ai giovani di diventare imprenditori.

Infine- ha concluso- credo che se riusciremo a dare loro una visione positiva del futuro potremo anche riavvicinarli alla politica, da cui si stanno in modo preoccupante allontanando”.

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