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Un’occasione per fare il punto sull’applicazione delle ‘Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza‘ entrate in vigore il 22 maggio 1978, che hanno decriminalizzato l’aborto volontario e permesso alle donne italiane di ricorrere ad Ivg nei primi 90 giorni di gestazione ed entro il quarto-quinto mese in caso di aborto terapeutico (Itg).
Prima dell’introduzione della 194, infatti, in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza era un reato punito dal codice penale e i soggetti coinvolti in un’Ivg potevano rischiare dai sei mesi ai dodici anni di reclusione, in base al grado di responsabilità. E le donne, per paura di trovarsi di fronte a condanne penali, ricorrevano all’aborto clandestino, con conseguenze spesso fatali.
Ma quanto è garantito oggi in Italia il diritto all’Ivg regolato dalla 194? Gli ospedali italiani sono in grado di assistere e prendersi cura fisicamente e psicologicamente delle donne che scelgono di interrompere una gravidanza o che abortiscono spontaneamente?
Partendo dai dati ufficiali, la fotografia sembra essere confortante. In base alla ‘Relazione del ministero della Salute sull’attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza’ nel 2016 il numero di Ivg è stato pari a 84.926, con una diminuzione del 3,1% rispetto all’anno precedente, che aveva registrato una riduzione sensibilmente maggiore sul 2014 (-9,3%).
Un numero più che dimezzato rispetto al 1982, quando si registrò il picco di 234.801 aborti volontari. Anche il tasso di abortività (numero di Ivg per 1.000 donne tra 15 e 49 anni) conferma il trend in diminuzione (6,5 per 1.000), tra i valori più bassi a livello internazionale. Un terzo delle Ivg totali in Italia, tra l’altro, continua ad essere a carico di donne straniere.
Secondo i dati ministeriali, sono in diminuzione anche i tempi di attesa tra rilascio della certificazione e intervento, con una percentuale di Ivg effettuate entro 14 giorni dal rilascio del documento che con il 66,3% sale leggermente rispetto a 2015 (65,3%), in modo più consistente rispetto al 2011 (59,6%).
In particolare, “riguardo al parametro 1 – offerta del servizio Ivg in relazione al numero assoluto di strutture disponibili – il numero totale di sedi fisiche (stabilimenti) delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia, a livello nazionale aggregando il dato comunicato dalle regioni al sistema di sorveglianza Ivg, nel 2015 risulta pari a 648 e nel 2016 a 614, mentre il numero di quelle che effettuano le Ivg nel 2015 risulta pari a 385, cioè il 59,4% del totale e 371 (60,4% del totale) nel 2016, valore numericamente in diminuzione, ma percentualmente in aumento rispetto all’anno precedente”.
Il numero dei medici non obiettori, poi, viene considerato dal ministero “congruo” nonostante “quelli non assegnati al servizio Ivg” e “il carico di lavoro richiesto, anche nelle situazioni di maggiore scostamento dai valori medi, non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le Ivg e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di Ivg”.
“Considerando 44 settimane lavorative in un anno- si legge nella relazione- il numero di Ivg per ogni ginecologo non obiettore, settimanalmente, va dalle 0,3 della Valle d’Aosta alle 8,1 del Molise nel 2015 che poi nel 2016 diventa 9,0, con una media nazionale di 1,3 Ivg a settimana nel 2015 e 1,6 Ivg a settimana nel 2016 (leggermente inferiori o uguali agli anni precedenti: 1,6 nel 2014 e 2013, 1,4 nel 2012)”.
Nelle storie raccolte dall’agenzia Dire, però, le donne lamentano scarsa assistenza, soprattutto psicologica, anche in caso di aborto spontaneo. Oltre alla difficoltà di ricevere indicazioni certe una volta presa la decisione di interrompere la gravidanza. Anche questa è una realtà.
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