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Sunzini (Tamat): “In Mali cresce l’insicurezza, ribelli a Koulikoro”

Lo sostiene il direttore dell'ong presente in Mali da circa 15 anni con progetti di sviluppo rurale e di sostegno alle comunità locali e di sfollati

Pubblicato:03-06-2021 17:00
Ultimo aggiornamento:03-06-2021 17:00

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ROMA – “In Mali la vita quotidiana non è cambiata molto dopo il golpe della settimana scorsa: la situazione è tranquilla. Ma per noi cooperanti occidentali diventa sempre più difficile lavorare perché sempre più aree diventano insicure e a rischio rapimenti o incidenti a causa delle milizie armate.
Tendiamo sempre di più a coordinare le attività da Bamako, inviando sul terreno tecnici locali”. Questa la fotografia scattata da Piero Sunzini, direttore dell’ong Tamat, presente in Mali da circa 15 anni con progetti di sviluppo rurale e di sostegno alle comunità locali e di sfollati.

Tra i progetti più recenti, ci sono anche azioni di sensibilizzazione sui rischi delle migrazioni irregolari e creazione d’impiego per donne e giovani. Alcuni progetti si avvalgono del sostegno del ministero dell’Interno, altri godono dei finanziamenti dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics).
Secondo Sunzini, i miliziani che controllano di fatto le regioni del nord stanno “scendendo” sempre più verso sud: “Ora anche certe zone nella regione di Koulikoro (nel centro sud, ndr) cominciano a essere insicure. Se dobbiamo andare, cerchiamo di farlo in giornata”.

La pratica dei sequestri a scopo estorsivo è infatti comune e non risparmia gli europei. “Noi cooperanti- dice Sunzini- prestiamo soccorso a tante comunità dove manca tutto, cionondimeno siamo percepiti come organismi al servizio del governo”. Lo dimostra la storia di padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiaccio, liberati nell’ottobre scorso dopo oltre un anno di prigionia. Con loro sono stati rilasciati anche la cooperante francese Sophie Pétronin e un politico di spicco dell’opposizione maliana, Soumalia Cissé.
A subire le pressioni dei gruppi armati è anche il mondo dei media, come dimostra il sequestro avvenuto a metà aprile di un reporter francese, Olivier Dubois, che stava conducendo un’inchiesta su una delle milizie legate ad Al Qaeda, che col gruppo Stato islamico è il principale punto di riferimento dei movimenti jihadisti del Sahel.


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Proprio l’insicurezza e l’incertezza economica che vivono le comunità locali hanno determinato forti manifestazioni popolari a partire dal maggio 2020, culminate con l’intervento dell’esercito che, nell’agosto successivo, ha rovesciato il governo del presidente Ibrahim Boubakar Keita. I mesi seguenti hanno visto faticosi negoziati per la formazione di un esecutivo di transizione composto sia da civili che da militari. Ma l’ultimo golpe, quello del 24 maggio, secondo Sunzini avrebbe un sapore diverso: “Potrebbe essere frutto di una diatriba di cui la gente in Mali parla quotidianamente nelle strade o al mercato, ma di cui sulla stampa internazionale non vi è traccia, ossia il desiderio di combattere i jihadisti coi mercenari russi, un po’ come sta accadendo in Centrafrica”. La tesi che emerge tra la popolazione è che né l’operazione militare ‘Barkhane’ guidata dall’ex potenza coloniale francese né i caschi blu della ‘Minusma’, la missione Onu in Mali, stiano dando i risultati sperati. In molti quindi accarezzerebbero l’idea di un intervento di “contractor” dalla Russia, come sta avvenendo nella vicina Repubblica centrafricana su rischiesta del governo per porre fine ad anni di incursioni dei gruppi armati e di scontri.

In Mali, la spaccatura tra “lealisti francesi” e “fan dei russi” starebbe guidando anche le diatribe in seno alle istituzioni militari e di governo. “Ci sono forze che non accettano ingerenze esterne” dice Sunzini. “D’altronde Assimi Goïta, (il colonnello che ha arrestato e costretto alle dimissioni il primo ministro e il presidente del governo di transizione, ndr) ha motivato la sua azione col fatto di non essere stato coinvolto nel recente rimpasto di governo.
Presidente e premier stavano affidando i ministeri di Interno e Difesa a due figure diverse da quelle in cui Goïta sperava”. Un passo che è costato al Mali la sospensione dall’Organizzazione economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), con promesse di sanzioni economiche anche da parte di Unione africana e Unione europea. Goita però va avanti: proprio oggi, indiscrezioni di stampa riportano che dovrebbe giurare da presidente lunedì, nominando al contempo il nuovo primo ministro.

In questo quadro, il responsabile di Tamat sottolinea che l’apertura dell’ambasciata italiana a Bamako potrà rafforzare anche la presenza del mondo delle ong in uno dei Paesi più poveri del mondo, dove è stato peraltro deciso l’invio di circa 200 militari italiani. Dinamiche che renderebbero utile un’informazione più puntuale sulla nostra politica estera in questa parte del mondo. Secondo Sunzini, “il Mali sembra lontano, ma è pur sempre terra di transito dei migranti e tassello per la sicurezza dell’area mediterranea”.

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