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Medio Oriente, la testimone israeliana: “Dopo la guerra dovremmo convivere”

La donna, Sivan Cohen Shachari, ha amici in ostaggio: "Collaborare non ci sono alternative"

Pubblicato:02-11-2023 18:31
Ultimo aggiornamento:02-11-2023 19:00
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Sivan Cohen Shachari
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ROMA – “Dobbiamo pensare a come vivere dopo la guerra” dice al telefono Sivan Cohen Shachari. È direttrice di DeserTech Ecosystems, una non profit israeliana all’avanguardia nelle tecnologie dell’acqua, ma ora parla delle sue due figlie: hanno tre e cinque anni. Shachari vive a Beer Sheva, una cittadina a circa 40 chilometri dal confine con la Striscia di Gaza. “Sopra le nostre teste continuano a volare missili, le sirene di allarme hanno appena suonato” riferisce. “L’asilo è chiuso da quasi un mese per motivi di sicurezza; quando serve andiamo nella ‘safe room’, la stanza protetta che abbiamo la fortuna di avere in casa”.

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Shachari ha 39 anni. Racconta che la madre, che ne ha 65, residente alle porte di Tel Aviv, è costretta a spostarsi nel rifugio che si trova due piani più in basso anche tre volte al giorno. “Il suo condominio”, spiega la figlia, “è stato costruito 60 anni fa”. Ad altri parenti e amici è andata peggio. “I genitori, il fratello e la nonna di mio marito Assaf sono stati evacuati dal kibbutz di Nahal Oz dopo il 7 ottobre” sottolinea Shachari, in riferimento agli assalti condotti dai commando di Hamas nelle località del sud di Israele e del deserto del Negev più vicine a Gaza. “Una zia è stata trasferita con tutta la famiglia dalla cittadina di Sderot e poi c’è chi non è riuscito a scappare: altri parenti sono stati assassinati nel kibbutz di Kisufim e diversi amici sono in ostaggio”.


Secondo le stime di Israele, il 7 ottobre e nei giorni immediatamente successivi i commando di Hamas hanno ucciso oltre 1.400 persone. Altre 230, in qualche caso con doppia nazionalità, sono state catturate e trasferite con la forza a Gaza. Shachari sottolinea che la liberazione degli ostaggi è “una priorità” e che il governo di Tel Aviv ha il “dovere di garantire la sicurezza di tutti i cittadini israeliani, indipendentemente dalle loro origine e fede, che siano ebrei, arabi o musulmani”. Si torna a parlare del Negev, dove DeserTech, supportata dalla fondazione Merage, concentra progetti e innovazioni. Nel lavoro di contrasto ai cambiamenti climatici, la non profit ha avviato collaborazioni dal Marocco agli Emirati Arabi Uniti, in qualche caso anche con Paesi che non hanno relazioni diplomatiche con Tel Aviv. Shachari dice di volere fare del Negev un modello a livello internazionale e di voler vivere in pace con i “vicini” palestinesi. “Abbiamo una storia condivisa e sarà condiviso anche il futuro” sottolinea. “Noi non possiamo andare via e neanche i loro possono farlo; l’unica possibilità è collaborare, gli uni accanto agli altri”.

Ma è ancora possibile, dopo che per 30 anni sono stati disattesi gli Accordi di Oslo, che prevedevano la nascita di uno Stato palestinese esteso su Cisgiordania e Gaza e con Gerusalemme est capitale? “Dobbiamo collaborare per forza, perché abbiamo terre e risorse in comune” insiste Shachari. “Credo anche però che dopo 20 anni di guerra continua tra Israele e Hamas e dopo lo shock del 7 ottobre dovremmo ripensare i nostri rapporti; questa, paradossalmente, può essere un’opportunità”. Secondo l’amministrazione di Gaza, nei bombardamenti di Israele nella regione palestinese, in corso da quasi quattro settimane, sono state uccise oltre 9mila persone.

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