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Egitto, convocato dagli agenti e poi scomparso, l’amico: “Gika è vittima di sparizione forzata”

Arrestato nel 2016 per aver manifestato contro la cessione di due isole all'Arabia Saudita, Ahmed Suleiman è da allora vittima di minacce e arresti e ora da oltre 50 giorni sarebbe vittima di "sparizione forzata"

Pubblicato:02-08-2023 17:26
Ultimo aggiornamento:02-08-2023 18:04

Ahmed Soulaiman Gika
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ROMA – “Ahmed Suleiman, noto come ‘Gika’, è scomparso 51 giorni fa, dopo il suo ultimo colloquio presso il quartier generale della National security agency (Nsa). La famiglia tramite l’avvocato attende notizie: spero non lo stiano torturando”. All’agenzia Dire l’attivista Sayed Elmansy racconta la storia del suo amico, scomparso al Cairo da quasi due mesi. L’ultima pista conduce agli uffici dei servizi di intelligence, che la Procura di Roma ha accusato della morte del ricercatore Giulio Regeni. “Ho conosciuto Gika in carcere qualche anno fa- continua Elmansy- abbiamo vissuto per 17 mesi nella stessa cella, tre dei quali in condizione di sparizione forzata”. Da tempo associazioni egiziane ed internazionali tra cui Human Rights Watch e Amnesty International denunciano la pratica delle autorità egiziane – soprattutto l’Nsa – di arrestare e incarcerare arbitrariamente dissidenti e attivisti, che restano dietro le sbarre anche per anni in attesa di giudizio.

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Le autorità non forniscono dati ufficiali ma secondo le organizzazioni i prigionieri politici e di coscienza sarebbero 60mila, alcune addirittura calcolano 100mila. Spesso, dopo l’arresto, le famiglie non vengono informate del destino dei propri cari. Nel migliore dei casi, vengono a conoscenza del luogo in cui sono detenuti dopo giorni o settimane, ma ci sono anche storie di persone di cui si è persa ogni traccia. A confermare questa denuncia c’è la campagna “Stop Forced Disappearance”, sulla cui pagina Facebook è possibile trovare decine di foto che riportano i nomi e le storie di chi in Egitto è stato vittima di sparizione forzata.


Fonte: Stop Forced Disappearance

IL DESTINO DEI DISSIDENTI: ARRESTI, ABUSI, SPARIZIONI FORZATE

Tra loro ci sono oppositori politici, attivisti, accademici, ma anche cittadini comuni che hanno “commesso l’errore” di criticare il regime o prendere parte a un corteo, come ha fatto Gika, quando un giorno del 2015 l’allora 18enne decide di prendere parte alle manifestazioni con cui al Cairo migliaia di cittadini cercavano di opporsi alla cessione delle isole egiziane di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita, da parte dell’esecutivo guidato dal generale Abdelfattah Al-Sisi. Una decisione confermata poi nell’aprile del 2016, e letta da una parte dell’opinione pubblica come una mossa per suggellare l’alleanza con la potente monarchia del Golfo, in una fase di profonda crisi economica per l’Egitto.

Elmansy prosegue: “Anch’io partecipai a quei cortei, tanta gente fu arrestata. Nei disordini mi ruppi una gamba”. Le cronache di quei giorni riferirono di cortei dispersi con violenza dalla polizia, che tentò di impedire l’accesso ai giornalisti. “Gika venne rilasciato dopo vari mesi- ricorda ancora Elmansy- ma insieme al rilascio fu comminata una multa di 100mila pound”, circa 3mila euro, in un paese in cui il salario medio si aggira intorno ai 9mila pound. “Non possedeva quella somma e così ha dovuto scontare altri tre mesi”.

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LA PERSECUZIONE GIUDIZIARIA DI GIKA PROSEGUE DOPO IL RILASCIO

Ma la vicenda giudiziaria non si chiuse lì: nel corso degli anni gli agenti dell’Nsa arrestano e scarcerano il giovane varie volte. Infine, dopo l’ultima scarcerazione, il giudice impone l’obbligo di presentarsi presso gli uffici dell’Nsa una volta a settimana.

“Ad ogni incontro- riferisce Elmansy- Gika veniva interrogato e poi minacciato di essere nuovamente arrestato. Lui ovviamente non voleva tornare dietro le sbarre, dove le condizioni di vita sono orribili”. Per questo secondo Elmansy “Gika aveva deciso da tempo di abbandonare ogni attività politica e si concentrava solo sugli studi e il tifo per la sua squadra di calcio, l’Ahly”. Ma questo non basta a convincere le autorità: “Le convocazioni sono proseguite”. Infine, il 13 giugno il 26enne si reca presso il quartier generale dell’Nsa per il colloquio settimanale, ma dopo quell’appuntamento “non è mai più tornato a casa. Da 51 giorni non abbiamo sue notizie“.

L’amico riferisce che prima di uscire “Gika mi chiamò: era agitato. Trovava strano che lo avessero convocato di martedì, perché di solito gli incontri avvengono il venerdì”. Vedendo che non rincasava, la famiglia presentato denuncia ufficiale ma dall’Nsa “nessuna risposta”, dice Elmansy.

L’attivista conclude: “Eravamo molto giovani quando abbiamo iniziato a protestare, unendoci ai cortei pacifici come molte altre persone. Non avevamo mai fatto attivismo e neanche le nostre famiglie. Abbiamo assistito a tanti arresti. Io sono finito dentro quattro volte. Ma anche se ti rilasciano, la tua fedina penale resta macchiata e trovare lavoro diventa quasi impossibile. Gika ha dovuto lasciare gli studi universitari e ultimamente non riusciva a farsi assumere da nessuna parte. Anche questa politica è illegale, perché condanna tantissimi giovani a una vita priva di opportunità” dice Elmansy, che conclude con un appello: “Raccontate la sua storia e aiutateci a riabbracciarlo. Il mondo deve sapere cosa succede in Egitto”.

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LA CAMPAGNA STOP FORCED DISAPPEARANCE: E’ UNA STRATEGIA PER TAPPARE LA BOCCA

Ancora alla Dire una fonte interna alla Campagna Stop Forced Disappearance – che chiede di parlare in condizione di anonimato per ragioni di sicurezza – spiega: “Gika è finito in un meccanismo che conosciamo bene. Chiunque venga incarcerato una volta per aver contestato il governo sa che sarà arrestato di nuovo senza un’accusa reale. E’ una strategia per scoraggiare ogni voce contraria. Ci sono migliaia di storie come questa. Sappiamo anche di persone scomparse ormai da dieci anni”, ossia dal 2013, quando salì al potere il generale Al-Sisi.

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