ROMA – Terminata la guerra civile e l’emergenza ebola, la Liberia sarebbe ormai un Paese sicuro e stabile, al punto da poter riaccogliere tutti quei rifugiati che negli Stati Uniti godono di uno status legale speciale: cosi’ almeno la pensa il presidente Donald Trump, firmatario di un memorandum che fissa al 31 marzo 2019 il termine per i rimpatri.
I liberiani hanno iniziato a godere del Permesso di protezione temporanea negli Stati Uniti a partire dal 1991 per via dei conflitti intestini scoppiati nel Paese, e per le fragili condizioni economiche e di sicurezza che ne sono seguite. Nel 2014, la situazione e’ tornata critica a causa dell’epidemia del virus ebola, che ha investito vari Paesi dell’Africa occidentale, in particolare la Liberia. Ora, come sottolineano i media africani, per molti cittadini di nazionalita’ liberiana che vivono negli Stati Uniti – di cui al momento non si ha ancora una stima esatta – potrebbe profilarsi l’obbligo di lasciare il Paese, nonostante alcuni siano ormai residenti da 27 anni e abbiano quindi costruito la propria vita in America.
Il memorandum di Trump, che ora deve passare al dipartimento per la Sicurezza nazionale, rappresenta un punto di svolta a quel percorso di amicizia e riscatto che ha legato per quasi due secoli Stati Uniti e Liberia: il Paese africano nacque nel 1847, sulla scia della fine della schiavitu’ in America. A popolare il nuovo Stato – che sin dalla bandiera prende ispirazione dal vessillo americano – anche i tanti schiavi liberati e cui fu dato il permesso di tornare in Africa. Il buon legame ritrovato con gli americani e’ testimoniato anche dall’aiuto fornito da Monrovia a Washington durante la Seconda guerra mondiale. La Liberia figura inoltre tra gli Stati fondatori della Societa’ delle Nazioni e dell’Onu.
Ad esempio ha revocato il Permesso di protezione temporanea anche a cittadini provenienti da diversi Paesi latinamericani colpiti da violenze o disastri naturali, come Haiti, oppure ha posto un veto – il cosiddetto ‘travel ban’ – all’ingresso di cittadini provenienti da sette Paesi in Africa e Asia, sostenendo che si tratta di una misura per proteggere gli americani da infiltrazioni terroriste. Il caso piu’ eclatante e’ avvenuto proprio questa settimana, quando a vedersi negato il visto di ingresso e’ stato l’ex presidente della Somalia Hassan Sheikh Mohamud, uomo stimato a livello internazionale per il suo impegno nella pacificazione del paese dopo la conclusione della guerra civile.
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