ROMA – “Epidemia di influenza e sub pandemia di Covid, insieme sono una terribile accoppiata. Raddoppieranno i casi? Al momento non ho mai visto la co-presenza dei due virus, ma c’è la preoccupazione”. Ne parla Claudio Cricelli, presidente Simg, Società italiana di medicina generale e delle cure primarie, intervenendo all’evento ‘Tra pandemia e influenza stagionale: cosa dobbiamo sapere e cosa dobbiamo fare’, promosso oggi da Assosalute a Milano.
Un’indagine condotta da Human Highway per Assosalute, Associazione nazionale farmaci di automedicazione, parte di Federchimica, conferma questo timore nella popolazione: “Un italiano su 2 si appresta a vivere la prossima stagione influenzale, caratterizzata dalla convivenza e dalla sovrapposizione dell’influenza stagionale con il SARS-CoV-2, con uno stato d’animo negativo, in cui prevalgono ansia, stanchezza, tristezza e diffidenza. Sono soprattutto le donne e i trentenni (25-34 anni) le categorie più demotivate e sfiduciate, mentre i giovanissimi si dividono tra ansiosi e indifferenti. Il Covid-19 ha modificato i comportamenti di prevenzione e cura dei cittadini”.
Si attende, quindi, una maggiore incidenza dei virus influenzali rispetto agli scorsi anni: “Si stima che i casi in Italia possano arrivare a 6 o 7 milioni- afferma Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario aziendale dell’Irccs Ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio di Milano– Un dato in crescita rispetto agli scorsi anni, come dimostrano anche le osservazioni sull’emisfero australe, dove l’influenza è in corso. Dobbiamo poi considerare l’aumentata quantità di virus respiratori e la minore esposizione della popolazione a microorganismi patogeni come virus e batteri negli ultimi due anni, da ricondurre alle restrizioni sociali adottate nelle stagioni precedenti, che ha non solo ridotto la diffusione del SARS-CoV-2, ma anche quella degli altri virus influenzali”. Secondo l’esperto “permarrà nella prossima stagione influenzale anche il SARS-CoV-2, e per molto tempo, anche se avrà sempre più difficoltà a diffondersi, considerando sia l’alta quota di persone che hanno già contratto il Covid-19 che coloro che si sono vaccinati. Assisteremo, infatti, a un andamento ondulante della curva epidemiologica: questo sia a causa della rapidità con cui si diffondono le varianti, sia a causa della presenza (o assenza) di vaccinazioni o di casi di malattia recente (ovvero chi si è negativizzato da poco)”.
Attualmente in Italia “almeno 23 milioni di persone hanno avuto una diagnosi di SARS-Cov2, inoltre l’81% degli italiani è stato vaccinato più o meno completamente. Tutte queste persone hanno acquisito una capacità protettiva- ribadisce Pregliasco- ma non è evitato il rischio di reinfezione, sono invece protette dagli effetti più pesanti”. Dai dati risulta “un 10% di reinfezioni da Covid-19– prosegue Fabrizio Pregliasco- e nel prossimo futuro per evitare una stanchezza vaccinale, e se l’andamento epidemiologico lo permetterà, si cercherà di sincronizzare le due vaccinazioni. Sono in corso degli studi sui vaccini bivalenti contro l’influenza e il Covid per arrivare ad un’unica somministrazione. Infine- rassicura il medico- l’immunità ibrida, che deriva da vaccino e infezione, dà la protezione migliore possibile”. Guardia alta, sempre, perché il SARS-CoV-2, nonostante la minor letalità, non è un’influenza. Lo ribadisce il professor Pregliasco: “Il Covid uccide ancora 4 volte tanto l’influenza ed è la causa del 95% dei decessi negli ultrasessantenni. La vera influenza, rispetto ad altri casi”, prosegue il professore, si riconosce per febbre con temperatura elevata, a comparsa brusca, sintomi respiratori o bruciore agli occhi e almeno un sintomo extra respiratorio (come dolori muscolari, mal di testa, spossatezza, etc.)”.
Secondo l’indagine di Human Highway gli italiani sono timorosi, ansiosi e diffidenti: il 23% si definisce preoccupato e il 21,1% stufo. Le donne sono più in ansia degli uomini (27,1% vs 19,1%), che guardano alla prossima stagione di convivenza e sovrapposizione tra SARS-CoV-2 e virus influenzali con maggiore ottimismo, serenità e fiducia. I più demotivati e sfiduciati sono poi i trentenni (25-34 anni); i giovanissimi (under 25) si dividono tra ansiosi e indifferenti, mentre c’è un discreto ottimismo e fiducia tra i 45 e i 54enni. Le fonti principali di preoccupazione e stress sono legate a un nuovo inasprimento delle regole per contenere il contagio (citata da quasi il 22% della popolazione), la paura di contagiare soggetti deboli (17,1%) e le difficoltà nel distinguere i sintomi dell’influenza da quelli del Covid-19 (16,6%). In generale, le preoccupazioni legate allo stile di vita (regole stringenti, auto-isolamento, conciliazione vita-famiglia/convivenza) preoccupano tanto quanto quelle legate a fattori più strettamente sanitari (contagio soggetti deboli, difficoltà nel distinguere i sintomi, accesso alle cure/visite)”.
“Circa 4 italiani su 10 dichiarano di voler ricorrere alla vaccinazione antinfluenzale, con una propensione che raggiunge i livelli massimi tra gli over 65, dove 2 su 3 intendono vaccinarsi”. Il vaccino resta però fondamentale, ribadiscono sia Pregliasco che Cricelli, poiché “l’influenza è comunque una patologia aggressiva e debilitante che resta indipendente dal SARS-CoV-2. Grazie alla presenza dei tamponi diagnostici, ad oggi, siamo in grado di misurarne la contagiosità, ma seguendo quello che ci riportano i dati dell’emisfero australe e considerando il livello ridotto delle difese immunitarie degli ultimi due anni (nei quali siamo stati poco esposti ai virus influenzali), la protezione attraverso la somministrazione del vaccino resta fondamentale”.
Indecisi e contrari sono il 60% della popolazione. “Due italiani su 10 ancora non sanno se lo vorranno fare, mentre il 42% della popolazione non vuole vaccinarsi perché lo ritiene inutile”, fa sapere Giovanna Hotellier dell’Istituto di Ricerca Human Highway.
“In crescita, invece, pur senza tornare ai livelli pre-pandemici (45,6% nel 2022 vs il 37,1% nel 2020), la quota di italiani che ritiene che il comportamento più saggio in caso di sintomi influenzali sia restare a riposo, ricorrere ai farmaci di automedicazione e, solo in caso la situazione non migliori nel giro di qualche giorno contattare il medico. Sono proprio i farmaci di automedicazione (quelli col bollino rosso che sorride sulla confezione) a confermarsi il rimedio più utilizzato con il 58,6% degli intervistati che dichiara di assumerne in caso di sintomi. Diminuisce significativamente negli anni il ricorso ai rimedi della nonna a favore dell’assunzione di integratori e vitamine.
Preoccupa invece il dato sull’uso degli antibiotici. “Il 20% degli italiani, soprattutto di sesso maschile, quando hanno l’influenza utilizzano l’antibiotico”, continua Hotellier . Dibattito aperto anche su come curare il Covid. “Io consiglio di usare il farmaco che controlla il sintomo- aggiunge Cricelli- se ho la febbre dò il farmaco che abbassa la febbre; se ho dolori muscolari dò l’antidolorifico. Sull’uso dell’antinfiammatorio stiamo per costituire un comitato internazionale per fare chiarezza sul trattamento domiciliare nel Covid”. E Pregliasco conferma che “sull’uso degli antinfiammatori non ci sono ancora studi robusti”.
“Un quarto delle persone che ha avuto il Covid ha uno strascico rilevante nell’arco di un anno e oltre. Il long Covid è una condizione che viene sottovalutata“, ammette Pregliasco. Inoltre, “dopo la prima infezione da Covid-19 e nelle fasi successive c’è un abbassamento delle difese immunitarie ed è una sfortuna quella della coinfezione con l’influenza- continua il professore- ma può capitare una sovrainfezione in fase di convalescenza”. L’organo bersaglio del Covid è il polmone, ricorda il medico, ma “c’è anche una diffusione di attacco a livello dermatologico, che è un quadro non piacevole”. “A molti miei pazienti- aggiunge poi il presidente Simg- sono cascati i capelli, ma poi sono ricresciuti. Ancora non siamo in grado di studiare bene il long Covid, ci sono casi che durano fino a due anni”.
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