NEWS:

Inps, a Milano si parla di smart working: l’ibrido funziona, a patto che i lavoratori siano stimolati

Dati smentiscono che chi lavora in remoto produce meno, occorre però non isolare i lavoratori per generare uno spiacevole effetto contrario

Pubblicato:07-05-2024 19:15
Ultimo aggiornamento:07-05-2024 19:15
Autore:

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

MILANO – Lo smart working e il suo futuro, la sua messa al regime, il suo costante bilanciamento con un mondo che cambia e che cede il passo, nel post pademia, a una nuova modalità di organizzazione. Questi sono i temi messi in campo nell’appuntamento organizzato da Inps nella sede milanese di via Circo 16.

“La drammatica esperienza della pandemia ha prodotto una disruption senza precedenti sull’organizzazione del lavoro, favorendo tra l’altro una significativa accelerazione del lavoro da remoto, lo smart working, che è in forte crescita nelle imprese così come nelle pubbliche amministrazioni”. A dirlo il neopresidente Inps Gabriele Fava, che ha aperto, in videocollegamento, i lavori. E in effetti, più di qualcosa è cambiato: prendendo come esempio la sede Inps milanese, il direttore del coordinamento Inps per la Città metropolitana di Milano racconta che la produttività negli ultimi due anni, con il 40% di smart working è superiore a quella del 2019, quando questa forma di lavoro era pari a 0. “E’ interessante la rappresentazione con l’anno 2019 che vedete essere un anno in cui lo smart working non esisteva, era sostanzialmente a soglia 0, e in cui Milano raggiungeva un valore di produttività pari a 135,55”, inferiore agli ultimi due anni. Uno smart working che, come spiega Saviano, “può raggiungere le 16 giornate lavorative mensili”, e che è ad hoc rispetto alla condizione del dipendente. Ad esempio, “la leva gestionale che ho inteso utilizzare assieme alla dirigenza di Milano vuole favorire soprattutto donne, con provenienze geografiche dal sud”, in modo tale da aumentare “la nostra capacità di essere attrattivi anche per le nuove generazioni, per i nuovi concorsi rispetto all’accesso a realtà del Nord”.

Insomma, il cosiddetto ‘lavoro agile’ può, anzi deve essere uno strumento con cui l’azienda viene incontro a lavoratori che necessitano di particolari esigenze e che hanno fragilità. Si pensa soprattutto ai dipendenti che vengono da altre regioni, e specialmente alle donne, che a Milano rappresentano il 59% del personale (687) , contro il 41% degli uomini (478). “Noi ci rendiamo conto che la vita a Milano è una vita molto cara, il costo della vita è complicato, è molto elevato e lo smart working vuole essere uno degli strumenti, non l’unico, inteso a favorire per alcune fasce di età naturalmente e alcune provenienze geografiche”, fa presente Saviano, riconoscerndo come questo sia “uno strumento che ha saputo favorire moltissimo il benessere interno alla struttura, infatti le recenti rilevazioni di benessere che abbiamo ingaggiato su Milano stanno ad evidenziare comunque come il livello di soddisfazione di questo istituto all’interno del personale sia piuttosto elevato”.


Insomma, lo smart working funziona, a patto che sia organizzato in modo tale da non ‘costringere’ il lavoratore lontano dall’azienda per troppo tempo. C’è infatti, come osserva il direttore delle risorse umane di Inps Giuseppe Conte, “un filone che guarda il smart working dal punto di vista del lavoratore, e cioè il rischio di alienazione”, ma soprattutto c’è da capire come organizzarsi in futuro, quando le nuove tecnologie (intelligenza artificiale compresa) soppianteranno alcuni lavori più metodici, che sono poi gli stessi a cui più facilmente si applica il lavoro da remoto. “Noi- fa presente Conte- andiamo verso un modello che sempre più delega alle macchine il lavoro automatizzato e ordinario, ripetitivo, e invece vuole che le persone sviluppino le loro competenze per progettare nuovi servizi, per adattarli, per mettersi a disposizione delle persone, per relazionarsi con il cliente,. Questo però richiede invece dei momenti di aggregazione delle persone, di combinazione delle competenze, di rapporto umano anche con l’utenza e quindi da questo punto di vista anche lo studio sul medio periodo andrà svolto, perché il tema è da affrontare”.

Ecco quindi che occorre evitare tendenze già occorse in altri paesi, dove per mesi i dipendenti non sono più rientrati in azienda. Ad offrire un esempio vivido di come lo smart working rappresenti una vera risorsa solo se regolamentato ci pensa la direttrice delle Risorse Umane di Vodafone Silvia Cassano: “La mia convinzione è che bisogna prima provare a far funzionare bene il modello come concepito, perché altrimenti se si cade nella dinamica della remotizzazione come è accaduto spesso in America, e si rischia di andare ad una tendenza opposta”, per questo “i modelli- osserva- devono essere necessariamente adattati alla cultura e al contesto storico aziendale”. Dopodiché, “il covid ha accelerato la pratica di rivedere il benessere dei dipendenti come un elemento strategico della performance aziendale, dunque oggi in Vodafone adottiamo un modello di Smart working che si chiama fixed hybrid, quindi è ibrido ma si basa su un numero minimo di giorni in presenza (8-10) in ufficio”.

Il sistema ibrido è dunque la chiave per affrontare i cambiamenti, toccherà alle aziende di concerto con i lavoratori organizzarlo al meglio. “Non è vero che con il sistema ibrido si lavora di meno, si lavora meglio, soprattutto con la consapevolezza che è la professionalità che ti fa fare quel salto di qualità”, afferma Noi diventiamo dei piccoli imprenditori: vuol dire che abbiamo un grande senso di appartenenza ma nello stesso tempo siamo dei professionisti che sanno anche lavorare soli”, fa presente il direttore Affari generali e risorse di Arera (Autority energia, reti e ambiente) Claudio Ranucci.

“Abbiamo imparato che nel brevissimo termine, con il networking, con il lavoro a distanza, aumenta la produttività del dipendente, ma probabilmente l’effetto è quello dalla novità, e questo ci dovrebbe far riflettere, perché le persone hanno bisogno di novità nel lavoro. Nel medio periodo, i vostri dati dimostrano che avete avuto il piccolo di produttività che poi stabilizza dopo un po’”, osserva il docente della Bocconi Giovanni Valotti. Insomma, “la persona che fa da 10 anni lo stesso lavoro, lo fa con la mano sinistra, ma annoiandosi“, rileva Valotti, che punta l’accento su un bilanciamento. Bene la forma ibrida, ma “più si investe sui rapporti, più bisogna investire sulla società”, quindi occorre dall’altro lato “creare occasioni di incontro fisico, riconoscimento, eventi, convegni”, e “dare occasione alle persone di vedersi con altre persone”, perché “inevitabilmente la distanza nel tempo può diventare ripetitiva e può portare a qualche forma di emigrazione”.

Insomma, se si volesse fare una sintesi, è evidente che nel lavoro del futuro il rapporto umano assume un’importanza fondamentale, e, come osserva il direttore della Filiale Metropolitana Inps Alberto Dotto occorre sempre cercare di dialogare con i dipendenti, “perché la motivazione è un elemento fondamentale che va costrutto nel tempo”, ma soprattutto perché “che “le persone oggi chiedono attenzione”, più attenzione rispetto al passato. “Prima la nostra era un’organizzazione più gerarchica, più stabile, tutti in ufficio, con il responsabile poteva controllare giornalmente quello che chiedeva, ma ora- precisa. il mondo è cambiato e anche noi, un paio di anni fa “abbiamo cercato di analizzare quali fossero le nuove competenze necessarie e quindi abbiamo individuato le cosidette soft skill, ossia quelle legate alla capacità di delega, e non solo”.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it