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VIDEO | Loretoni (Sant’Anna Di Pisa): “Il lockdown ha aggravato il gender gap delle ricercatrici”

"Meno produttive dei colleghi; stereotipi e maschilismo guidano gruppi dirigenti"

Pubblicato:09-06-2020 09:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:27

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ROMA –  In Italia gli stereotipi di genere ancora “guidano le scelte dei gruppi dirigenti”, fra cui impera la logica dell”old boys network‘ ed e’ radicata una cultura intrisa di un maschilismo “non ostile, diretto”, ma “benevolo, difficile da individuare, di protezione e di tutela delle donne, sempre intese come vittime”. Ne e’ convinta Anna Loretoni, ordinaria di Filosofia Politica e prima donna alla guida della classe di Scienze Sociali della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – di cui e’ diventata preside nel novembre 2019 – che, in un’intervista all’agenzia di stampa Dire, torna sulla discussa immagine dell’app Immuni e mette in guardia dai pericoli legati a quella che definisce una “resistenza al cambiamento, prevalentemente maschile”.

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“Quando ho visto quell’immagine sono veramente rimasta basita, incredula e mi sono chiesta: come e’ possibile che il Governo licenzi una cosa del genere?- racconta Loretoni- Poi ho ripensato alla ricerca Istat sugli stereotipi di genere e mi sono detta: ecco, rappresenta una parte, spero minoritaria, del nostro Paese“.

LA RICERCA DELL’ISTAT

Dall’indagine dell’istituto di statistica, pubblicata il 25 novembre scorso in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, emergeva che, secondo il 32,5% degli italiani, per l’uomo, piu’ che per la donna, e’ molto importante avere successo nel lavoro. Secondo il 31,5% poi, gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche, mentre il 27,9% e’ convinto che sia l’uomo a dover provvedere alle necessita’ economiche della famiglia. Non stupisce, quindi, che per il team di Immuni la scelta – rettificata dopo la levata di scudi di politiche, organizzazioni femministe e non solo – sia inizialmente caduta sull’immagine della donna che culla il bambino mentre l’uomo scrive al pc, a ricalcare “la rappresentazione delle professioni nei libri di testo delle elementari”, tanto piu’ inaccettabili perche’ “per cambiare questa mentalita’- sottolinea Loretoni- occorre proprio partire dai giovani e dai bambini”.

LE MADRI LAVORATRICI NELLA FASE 1

Quegli stessi bambini che tanto sono stati al centro delle cure delle donne durante la fase 1 dell’epidemia, quando le mamme si sono trasformate in tuttofare, rischiando di veder crollare le proprie performance professionali perche’ investite da un maggior carico nel lavoro di cura di figli e anziani. È il caso delle giovani docenti e ricercatrici “che in questi mesi hanno sicuramente fatto molto meno in termini di produttivita’ scientifica rispetto ai loro colleghi maschi- sottolinea la preside della Sant’Anna- e questo avra’ sicuramente un peso nelle loro carriere, tra l’altro in un contesto universitario come quello italiano dove e’ gia’ presente un forte gender gap“. E poi ci sono le donne che vivono situazioni di violenza, per cui “la casa non e’ stata quel luogo sicuro che una certa tradizione familistica ha voluto rappresentare”, e le precarie, costrette a fare i conti con una crisi economica che “tra marzo e aprile ha visto un calo di 400mila occupati, di cui molte sono donne giovani tra i 25 e i 34 anni. A differenza delle precedenti, soprattutto dell’ultima del 2008- osserva- la crisi economica causata dalla pandemia e’ molto piu’ rischiosa per le donne”. Per questo, suggerisce Loretoni, “occorre intervenire subito con misure ad hoc per rafforzare i servizi all’infanzia, che favoriscano la defiscalizzazione da parte delle imprese sul lavoro delle donne e l’imprenditorialita’ femminile“.

Come fare, pero’, se le donne non vengono coinvolte nella stanza dei bottoni? “Nel nostro Paese, purtroppo, funziona ancora un forte maschilismo che tende a non riconoscere e non vedere, per bias inconsci o conservatorismo inconsapevole, le competenze femminili- sottolinea la docente- Anche per allargare la commissione Colao a quelle tre, quattro, cinque presenze femminili, abbiamo dovuto sottoscrivere appelli, scrivere articoli sui giornali e cosi’ via”. E non ci sono scuse, perche’ la stessa Unione Europea “nel trattato di Amsterdam (1997, ndr), sulla scia della Conferenza Onu di Pechino del 1995, ha inserito il principio del gender mainstreaming. Vuol dire che tutte le volte che si fanno scelte nell’ambito di politiche pubbliche- spiega- occorre chiedersi qual e’ il risultato di queste scelte sulla vita e sulla condizione delle donne”. Bene allora ha fatto “la ministra Bonetti a costituire il gruppo delle donne per un nuovo Rinascimento come scelta reattiva all’assenza delle donne” dalla task force del presidente Conte, ma il vero obiettivo e’ e resta “stare assieme agli uomini negli organismi decisionali”. E secondo la studiosa, avrebbe giovato ai lavori del gruppo creato dalla ministra per le Pari Opportunita’ e la Famiglia la scelta di una “prospettiva intersezionale”, per collegare il genere, la classe, l’appartenenza sociale”, che “forse avrebbe dato al documento di quel gruppo una spinta in piu’, una maggiore freschezza, perche’ spesso, partendo solo dal binomio donne/uomini, si dimentica la considerazione delle differenze tra donne”, ad esempio tra “precarie, rifugiate, immigrate” e donne “gia’ occupate in posizioni di prestigio. Io ho trovato nel documento un’impostazione femminista un pochino tradizionalista, vetero”, che, secondo la preside della Sant’Anna, non ha tenuto abbastanza dentro le “differenze generazionali”. Ma la lettura di genere, secondo Loretoni, con la pandemia e’ diventata un faro anche perche’ da sempre mette in luce alcuni aspetti tornati alla ribalta col Covid-19. La “vulnerabilita’” e l’importanza dell'”individualismo relazionale”, della “cura” e degli “operatori della cura, senza i quali in questa fase ce la saremmo cavata decisamente peggio”, della “comunita’ democratica, che si nutre della responsabilita’ degli individui”. Promosso il Governo rispetto alla limitazione delle liberta’ personali, stabilite “sulla base dell’articolo 16 della Costituzione”, Loretoni pone l’accento sulla necessita’ di continuare a vigilare “anche sull’uso dei Dpcm”, per evitare che ci sia “un abuso di tali strumenti”, mentre e’ critica “sulla forte limitazione dei lavori del Parlamento, che doveva rimanere pienamente attivo e discutere con Governo, presidente del Consiglio e Iss”. Il monito della preside della Sant’Anna e’ “imparare dalla lezione” del coronavirus, perche’ il mondo globale e interconnesso potra’ andare incontro a nuove pandemie “e noi- conclude- dobbiamo essere meglio attrezzati per il futuro”.

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