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“Mio bisnonno era italiano”, e dall’estero chiedono la cittadinanza italiana: in Veneto è boom di richieste (e diffide) dal Brasile

Migliaia di ricorsi in arrivo dal Brasile per il riconoscimento della cittadinanza italiana legata a nonni e bisnonni: sono quelli che stanno arrivando a tanti Comuni del Veneto, dove gli uffici demografici e anche il Tribunale non riscono più a gestire questo fenomeno. Anche perchè, in assenza di riscontro positivo, arrivano diffide e minacce. L'Anci chiede che il sistema cambi

Pubblicato:29-01-2024 13:21
Ultimo aggiornamento:29-01-2024 13:21
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cittadinanza italiana
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VENEZIA – I Comuni del Veneto sono inondati di richieste di cittadinanza da parte di persone che dicono di vantare avi italiani. E sono anche in difficoltà. “Anci Veneto da tempo sta raccogliendo l’allarme dei servizi demografici dei Comuni sul notevole incremento dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza per discendenza da avi italiani (cosiddetta cittadinanza ‘iure sanguinis’) emigrati all’estero soprattutto verso Paesi del sud America o verso il Canada o l’Australia”, racconta il direttore di Anci Veneto, Carlo Rapicavoli.

UNA VALANGA DI RICORSI CHE HA TRAVOLTO IL TRIBUNALE

Già il presidente della Corte d’Appello di Venezia, Carlo Citterio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, sabato scorso ha affermato: “Il Tribunale di Venezia è l’unico ad avere aumentato la propria pendenza in quanto è stato raggiunto da un numero di richieste di ricorsi per il riconoscimento della cittadinanza da parte dei brasiliani collegati con l’Italia. Il numero di questi ricorsi da solo è superiore al numero di tutte le altre cause che sono state incamerate dal tribunale di Venezia. È un problema anche di natura politica, perché se la cosa dovesse proseguire ed estendersi, avrà un notevole impatto sulla composizione del corpo elettorale, sui quorum degli elettori e così via”. Si tratta appunto delle procedure di riconoscimento del possesso della cittadinanza agli stranieri discendenti da avo italiano emigrato in Paesi dove vige lo “ius soli”, risalente al 1912, che aveva inteso garantire ai figli dei nostri emigrati il mantenimento del legame con il Paese di origine degli ascendenti, introducendo un’importante eccezione al principio dell’unicità della cittadinanza.

BASTA AVERE UN PARENTE ITALIANO, ANCHE LONTANISSIMO

Per far richiesta in base allo ‘iure sanguinis’ va dimostrata la discendenza dal soggetto originariamente investito dello status di cittadino (l’avo emigrato) e provare l’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza (mancata naturalizzazione straniera dell’avo dante causa prima della nascita del figlio, assenza di dichiarazioni di rinuncia alla cittadinanza italiana degli ulteriori discendenti prima della nascita della successiva generazione, a dimostrazione che la catena di trasmissioni della cittadinanza non si sia interrotta). Per il riconoscimento occorre accertare che la discendenza abbia inizio da un avo italiano (non ci sono limiti di generazioni) e che l’avo cittadino italiano abbia mantenuto la cittadinanza sino alla nascita del discendente.


CORRISPONDENZE FATICOSE, POI ARRIVANO DIFFIDE E RICORSI

I Comuni ricordano che, nella maggior parte dei casi, la cittadinanza è riconosciuta dopo un’istruttoria consolare o dall’autorità giudiziaria con ordinanza cui fanno seguito richieste di trascrizione di numerosi atti di stato civile, talvolta per interi nuclei familiari (atti di nascita, matrimonio, eccetera). “A ciò si somma una estenuante corrispondenza con i discendenti che spesso non parlano italiano e richiedono, anche più volte in breve tempo, ricerche d’archivio, certificati storici ed estratti di atti di stato civile di avi, con dati assolutamente insufficienti ed imprecisi”, spiegano dall’Anci del Veneto. Anche gli studi legali e le agenzie di ricerche avi inviano numerose richieste “seguite da insistenti solleciti, anche a distanza di pochi giorni, minacciando diffide e ricorsi“.

LA VERA DESTINAZIONE? PAESI DEL NORD AMERICA O ALTRI PAESI EUROPEI

Nei Comuni del Veneto arrivano in genere istanze con prevalenza dal Brasile “e verosimile appare l’interesse ad ottenere un passaporto italiano che agevoli il transito negli Stati del Nord America e l’ingresso e la libera circolazione nei Paese aderenti all’area Schengen con i vantaggi che da questo possono derivare”. Infatti, spiega l’Anci, “non appena ottenuta la cittadinanza si allontanano dal Comune di residenza godendo dei vantaggi che conferisce la cittadinanza italiana, lasciando agli uffici anche l’incombenza dei procedimenti successivi. Va da sé che l’attività procedimentale connessa non si esaurisce con un controllo degli atti già impegnativi che comporta contatti e disamine con avvocati i quali, spesso, inviano documenti incompleti e non rispondenti alle formalità previste per le trascrizioni ma prevede, altresì, ricerche d’archivio, la ricostruzione della genealogia in vari casi di non immediata interpretazione, visti i frequenti cambi di generalità, rettifiche di atti, trascrizione degli stessi, l’apposizione di annotazioni, comunicazioni ai Consolati e agli studi legali a cui vanno aggiunti gli adempimenti anagrafici per iscrizione Aire, di leva ed elettorali e il dispendioso invio di cartoline per le elezioni“. Tutto ciò, commenta Rapicavoli, “pregiudica il normale funzionamento degli Uffici di Stato civile con inevitabili ripercussioni sull’esecuzione degli adempimenti dei Servizi demografici tanto di front che di back-office nonostante ci si adoperi per rispettare le scadenze ordinarie ed evadere le richieste dei cittadini, i quali vantano un pari diritto al regolare e celere svolgimento delle attività”.

Gli Uffici demografici dei Comuni del Veneto, “con le attuali disponibilità di personale e i vincoli normativi, a fatica possono far fronte al carico di loro competenza non potendo, tra l’altro, essere succubi di minacce e diffide ad adempiere da parte di consulenti vari che hanno fatto di tali pratiche l’oggetto principale delle loro attività. È dunque necessario un intervento normativo per disciplinare la materia, soprattutto evitando di far gravare sui Comuni sostanzialmente un onere divenuto insostenibile”, conclude l’Anci.

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