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VIDEO | FOTO Dai big five alle balene, 3.200 chilometri attraverso Sudafrica, Mozambico ed Eswatini

Due settimane nell'emisfero australe tra parchi, animali, spiagge e mercati con una puntata finale a Johannesburg

Pubblicato:05-09-2022 19:20
Ultimo aggiornamento:05-09-2022 19:20

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JOHANNESBURG – Attraversare tre paesi in due settimane e farsi in macchina quasi 3.200 chilometri di strade – in buona parte sfasciate –  è davvero una vacanza? La risposta a chi se lo chiede è un’altra domanda, anzi più d’una: e rinunciare a safari all’alba tra i big five (leone, leopardo, rinoceronte, elefante e bufalo), e zebre, giraffe, ippopotami e impala? o a una nuotata accanto a uno squalo balena? o a veder saltare fuori dall’acqua i cuccioli di balena sotto l’occhio attento delle madri? Perché privarsi di giri in barca tra spiagge pazzesche, non fare snorkelling sul reef, non rotolarsi giù per enormi dune di sabbia finissima, non gironzolare per mercati pieni di colori, non mangiare aragoste e barracuda a prezzi parecchio più abbordabili che in Italia? Queste e mille altre ragioni spiegano il perché di un raid tra Sudafrica settentrionale, Mozambico, Eswatini, con una capatina finale a Johannesburg per farsi un’idea, seppur superficiale, di cosa è stato l’Apartheid. 

IL BLYDE RIVER CANYON E LE CASCATE

Il viaggio parte appunto da Johannesburg dove, arrivando dalle note temperature dell’estate italiana 2022, ci ritroviamo a battere i denti e mettere addosso tutto quanto abbiamo nel bagaglio. All’aeroporto abbiamo prenotato delle 4×4, ma all’autonoleggio ci sono intoppi e, dopo diverse ore di attesa e altrettante proteste, ci consegnano dei van. Ce ne andiamo tutti contenti per non aver perso un giorno e una notte di viaggio, ma ben presto ci ricorderemo perché avevamo chiesto le 4×4. Intanto, va ricordato che in questi tre paesi la guida è a sinistra, particolare non irrilevante specie quando ci si trova ad affrontare una rotonda. Con baldanza, dunque, imbocchiamo la N12 e al primo ‘autogrill’, la sorpresa. L’uscita posteriore dà su una grande pozza dove bighellonano dei rinoceronti. Restiamo lì, incantati, per diverse decine di minuti. Si prosegue per la prima tappa, Sabie, dove dormiamo per poi visitare il Blyde River Canyon e la riserva naturale che prende lo stesso nome. Qui il fiume ha scavato il suo letto nella quarzite creando canyon e sinuose forme di roccia. In zona ci sono poi spettacolari cascate come la Lysbon fall, che è alta 45 metri, o la Berlin fall. Durante il tragitto incrociamo diverse interruzioni stradali, con ‘uomini semaforo’ i cui ordini di stop ci sono però incomprensibili, tanto che rischiamo pure un paio di frontali con le auto che arrivano in senso opposto. Poi ci infiliamo in improvvisi banchi di nebbia fittissimi – d’altronde nell’emisfero australe è inverno – e viaggiamo a passo d’uomo finché vediamo la valle sottostante, bellissima, che ci accompagna tra boschi di conifere verso il Kruger National Park. 

I BIG FIVE E I GAME RIDE ALL’ALBA E AL TRAMONTO AL KRUGER NATIONAL PARK

Il primo ‘safari’ lo facciamo autonomamente, appena arrivati, stando alle calcagna delle auto dei ranger (che ovviamente vedono gli animali meglio di chiunque altro) e ci bollano subito come ‘italian scrocconi’. Veniamo però immediatamente ripagati: il primo avvistamento è un ghepardo seguito da quasi tutto lo ‘zoo’. Continuiamo a macinare chilometri con le nostre macchine a 30 all’ora, sia per non perdere gli animali nascosti tra la vegetazione, sia perché dentro il parco c’è il limite di velocità. Diversamente da altre riserve, al Kruger c’è molta vegetazione ma il lato positivo è che le strade sono per la maggior parte asfaltate, quindi si riesce a guidare anche senza il 4×4. Per chi poi non lo sapesse, i game drive che che si fanno nelle auto o nei camion scoperti coi succitati ranger sono più fortunati all’alba o al tramonto. Quindi la mattina seguente la sveglia è alle 4. Col buio e bardati da montagna (salvifiche le coperte che ci vengono date o che ci siamo portati dietro), saliamo sul mezzo e scopriamo di tutto, compresi animali di cui ignoravo l’esistenza, tipo il bucero.


E nonostante le raccomandazioni del ranger che ci ripete di fare silenzio, ci sfuggono continuamente grida di entusiasmo davanti a elefantigiraffe, e anche gli impala, che presto impareremo a snobbare dato che qui sono così tanti che li incroci ogni dieci metri. Non paghi del Sunrise game drive, facciamo anche quello del tramonto. A fine giornata inanelliamo grandissime soddisfazioni, dato che tra gli altri, vediamo anche una leonessa con tre cuccioli che camminano accanto alla macchina, assolutamente indifferenti alla nostra gioia.

I ranger ci raccontano mille particolari sugli animali, cose sentite in tv o lette ma dimenticate, come il fatto che gli elefanti solitari sono maschi, mentre i gruppi sono composti da femmine e cuccioli, e che a comandare è la femmina anziana. Ed è lei, alla faccia della famiglia iperprotettiva e dei bamboccioni, a ‘buttar fuori’ i giovani maschi dal branco finché non raggiungono la maturità sessuale e possono tornare (o entrare in un’altra comunità) e accoppiarsi. Altra curiosità, quando un membro del branco muore, gli altri elefanti fanno la veglia. Quanto alle giraffe, per distinguere il maschio dalla femmina, a parte la comprovata osservazione degli organi sessuali, basta guardare le corna a pon pon: quelle con più ciuffetti di pelo, sono delle ‘ragazze’. Poi ci mettiamo a riposo, perché quando fa sera è proibito uscire dai campi attrezzati.

LA TRAVERSATA VERSO IL MARE DEL MOZAMBICO, LE BUCHE-VORAGINI, LA VITA LUNGO LE STRADE

Dopo due notti nel parco e un paio di tramonti africani da urlo, il passaggio in Mozambico richiede diverse ore in auto, e se in Sudafrica le strade sono buone, dall’altra parte si cambia: da ora fino al ritorno sarà tutto uno slalom per evitare buche enormi, che sembrano posizionate apposta per non essere evitare e per spaccare schiene e semiasse. Senza contare le volte che ci insabbiamo e dobbiamo scendere e spingere. Alla dogana, dove oltre al passaporto gli addetti controllano con attenzione anche i certificati di vaccinazione, ci sono scatole di profilattici in regalo per chiunque li desideri. Questo perché il paese tra è i dieci al mondo più colpiti dall’Hiv. Tantissime le persone ferme che tentano di passare il confine per cercare una vita migliore. La popolazione del Mozambico è infatti molto più povera di quella sudafricana e come accade in altri paesi del continente, la vita si svolge tutta sulle strade. La gente cammina, cammina e cammina, a tutte le ore del giorno e della notte, per andare o tornare dal lavoro, per raggiungere le scuole, andare a trovare amici e parenti, o a pregare. Sul ciglio della strada, pieno di bancarelle e capanne di lamiera, ci sono i ‘centri commerciali’ dove si trova di tutto, dalle marmitte usate agli anacardi, dagli abiti da sposa alle sim per il telefono. 

VILANKULOS, LE ISOLE PARADISIACHE DI MAGARUQUE E BAZARUTO 

Un altro lungo tragitto per arrivare a Vilankulos, località di mare dalla quale si possono fare escursioni in barca nelle vicine isole di Magaruque e Bazaruto, entrambe incredibilmente belle e perfette per fare snorkelling, nuotate, passeggiate su spiagge lunghissime col mare cristallino e grigliate di pesce. Magaruque è così piccola che in circa due ore si riesce a girarla, uno dei lati finisce con una striscia di sabbia bianca che divide un tratto di mare piatto come una tavola, da uno più mosso. L’isola è disabitata, c’è solo un resort di lusso che ci dicono essere stata la residenza estiva di un politico del Botswana. Un’altra casa è distrutta, costruita evidentemente troppo a ridosso del mare, è stata quasi spazzata via da una tempesta. Bazaruto, che è più grande, non ha nulla da invidiare a Magaruque: a parte i tutti i toni possibili del colore del mare, conta dune altissime dalla cima delle quali si avvistano barche e strisce di sabbia, lagune salate e microisole.

A Vilankulos, invece, ci si può inoltrare nel grande mercato dove si trova un po’ di tutto, dalla frutta a sculture di legno, e poi abiti usati, il famoso wax cotton usato dalle donne africane per farne i loro fantasiosi vestiti. Alcuni venditori hanno pronta la macchina da cucire per confezionarli e promettono di consegnare tutto entro il mattino dopo. 

VERSO TOFO, LA SCUOLA E GLI SGUARDI DEI BAMBINI

L’ennesima traversata tra villaggi, mercati e boschi di palme ci porta verso un altro posto di mare, Tofo. Siccome però dall’Italia ci siamo portati cancelleria varia, cappellini, zainetti e abbigliamento decidiamo di fermarci in una scuola, per poterli consegnare. Sembra deserta, ma una volta avvisato il direttore della nostra presenza, arrivano bambini da ogni aula e chiaramente si aspettano tutti qualcosa. Sono tantissimi e ci rendiamo conto con sgomento che il materiale non basterà ad accontentare nessuno. Iniziamo quindi un via vai continuo ai nostri bagagliai per cercare altro, che è comunque assolutamente insufficiente. Alla fine ce ne andiamo intristiti, consapevoli che il nostro gesto è stato meno di una goccia nel mare.

A Tofo alloggiamo sopra una spiaggia immensa, e dall’alto vediamo una moltitudine di balene, madri e cuccioli, che passano sbuffando al largo, mentre i piccoli, si ‘allenano’ a fare salti davanti alle madri. Prenotiamo un giro al largo col gommone per vederle più da vicino e quando si rompe un motore, per un’ora restiamo in mezzo al mare, imprecando perché in lontananza ce n’è un’intera colonia. Quando finalmente arriva un altro gommone, ci lanciamo alla ricerca dello squalo balena. L’istruttore lo avvista e dopo che l’animale passa sotto la barca, ci buttiamo: è una bestia nera di sette metri e anche se ci hanno detto che è innocuo (si nutre di plancton), qualche urlo parte. Nuotargli sopra è un’emozione fortissima.

IN ESWATINI PER UNA NOTTE AL HLANE PARK, A CENA COI RINOCERONTI

Ancora un’altra dogana per entrare in Eswatini (l’ex Swaziland), che tutti dicono assomigli alla Svizzera- ma a noi non pare- per l’ultimo safari. Al Hlane Park, che è un parco piccolo, ha però una vera chicca: davanti al campo, divisa da un recinto, c’è una grande pozza dove sguazzano i rinoceronti. Volendo, ci si può sedere su delle strane (e non comodissime) poltrone di legno e farsi l’aperitivo con vista. Altra caratteristica del campo dove dormiamo è che alle 6 di sera, quando fa buio, si stacca la luce elettrica e quindi o si usano le pile, oppure le lampade a petrolio che il personale lascia davanti alle ‘capanne-alloggio’, creando un clima fatato e decisamente romantico. Allo Hlane, finalmente, riusciamo a vedere i leoni maschi che, durante il game drive (manco a dirlo, all’alba), ci omaggiano con una serie di ruggiti. Visto il freddo, il ranger ci premia con caffé caldo e muffin serviti direttamente sul davanti del fuoristrada.


JOHANNESBURG, IL TOUR A SOWETO I RACCONTI DI TOM

Tornati a Johannesburg, prima del volo di ritorno c’è tempo per fare un breve giro. Ma non da soli, non è una città sicura. Così ingaggiamo Tom, che fa l’autista e la guida e che in poche ore ci fa fare una rapida panoramica. E’ lunedì e il museo dell’Apartheid è chiuso, ma riusciamo comunque a vedere un paio di luoghi significativi. Prima di di tutto Constitution Hill col suo museo: oggi è sede della Corte costituzionale, ma fino al 1987 era una prigione, terribile, dove furono rinchiusi innumerevoli oppositori dell”apartheid e del governo. Tra loro Nelson Mandela, giusto per fare un esempio, ma persino il giovane Gandhi che, lo ignoravo, in Sudafrica passò più di 20 anni di vita. Ciò che resta del carcere racconta storie orribili di segregazione, a partire da zone differenti per le celle, pasti e giacigli diversi a seconda del colore della pelle, igiene assolutamente carente, botte e torture da parte dei carcerieri. Storie di stenti e sofferenze che varrebbe la pena approfondire, se non fosse che il tempo è tiranno. Andiamo dunque nella famosa township di Soweto e a Vilakazi street, dove c’è la casa-museo di Mandela e poco lontano quella di Desmond Tutu. Quella strada, ci dice Tom, è l’unica al mondo che conta due Nobel per la pace: all’arcivescovo fu insignito nel 1984, a Mandela nel 1993. Da lì si sale all’Hector Pieterson Memorial dove di nuovo mi vergogno per la mia ignoranza: non ricordavo affatto la storia dei moti scolastici di Soweto del 1976, quando centinaia di studenti furono uccisi dalla Polizia perché protestavano contro l’introduzione dell’Afrikaaans (parlata dai boeri) come lingua obbligatoria in classe. Il 16 giugno al via dello sciopero e dei cortei – pacifici – un agente sparò e uccise Hector, che aveva 13 anni. Al Memorial c’è una grande foto, scattata pochi minuti dopo e diventata simbolo di quella tragedia che ritrae un giovane che poi sparì, Mbuyiswa, con in braccio Hector già morto e con accanto la sorella del bambino che urla di dolore. L’ultima cosa che vediamo prima di andare in aeroporto sono le Orlando towers che, nate per la centrale elettrica alimentata a carbone, oggi sono uno dei simboli di Soweto, e anche dei buoni mezzi di pubblicità grazie alla loro superficie che permette di dipingere enormi murales (al momento una birra e un operatore telefonico). Sul ponte tra le due torri, oggi si fa bunjee jumping. Non sarà stata una vacanza, ma di certo è stato un viaggio.

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