NEWS:

Giornata mondiale della sindrome di Down, Aipd: “Il progetto di vita è realtà solo per il 26% delle persone”

Intervista al presidente dell'Associazione italiana persone Down, Gianfranco Salbini

Pubblicato:21-03-2024 14:19
Ultimo aggiornamento:21-03-2024 14:51

Gianfranco Salbini
FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – Analizzare bisogni e desideri per costruire un percorso che sia pensato su misura. E’ questo, in sostanza il cosiddetto ‘progetto di vita‘, un accompagnamento alla vita adulta della persona con disabilità che preveda l’integrazione di tutte le attività e i servizi di cura. Una cura intesa non solo come mera prestazione, ma come vera e propria presa in carico. Il ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, punta con forza alla sua piena realizzazione ma oggi a che punto siamo? In occasione della Giornata mondiale della sindrome di Down, che si celebra oggi, il presidente dell’Associazione italiana persone Down (Aipd), Gianfranco Salbini, in un’intervista alla Dire fotografa la situazione e traccia un quadro degli obiettivi futuri.

“Qualche tempo fa abbiamo realizzato insieme al Censis l’indagine ‘Non uno di meno’, per sondare come vivono le persone con sindrome di Down. Tra i vari aspetti l’indagine ha voluto verificare se gli intervistati (1.200 caregiver in tutta Italia) possono contare su una presa in carico da parte del servizio pubblico del loro territorio fondata sulla predisposizione di un Piano di presa in carico– spiega Salbini- Solo il 26% del campione afferma che il piano è stato realizzato, il 24% dice che è stato predisposto ma è solo formale e/o ha una applicazione parziale, mentre nella metà dei casi il piano non è stato predisposto. Spesso- dice Salbini- è solo un impegno di facciata da parte dei Comuni perché il progetto di vita poi non si concretizza in nulla”.

Ancora una volta emergono differenze significative a livello territoriale: al Sud, il 73,2% dei caregiver afferma che il piano per la presa in carico della persona con sindrome di Down di cui si occupa non è mai stato realizzato.


In questo contesto uno degli obiettivi che l’Aipd porta avanti è proprio quello di “insistere sul migliorare i servizi socio sanitari, in particolare- dice Salbini- cercando di superare le differenze che esistono tra il Nord e il Sud dell’Italia”.

Nell’indagine Censis/Aipd per quanto riguarda l’accesso ai servizi, è stato chiesto ai caregiver se nella propria Asl di appartenenza fosse presente un servizio pubblico o convenzionato dedicato alle persone con disabilità intellettiva. Poco meno della metà ha segnalato la presenza di questa tipologia di servizio e tra questi tutti lo utilizzano. È alta la percentuale di chi non è informato (28,8%) mentre il 23,7% dichiara che questa tipologia di servizio non è presente.

La mancanza o la presenza di servizi sul territorio incide direttamente sulla condizione di vita delle persone con sindrome di Down e su quella dei loro caregiver- dice ancora il presidente Aipd- se una famiglia non trova servizi sul proprio territorio è necessariamente costretta a spostarsi in altre regioni”.

Esempi positivi ce ne sono. “L’Emilia Romagna è una regione in cui, come Aipd, abbiamo pochissime sedi associative- dice Salbini- e questo è sintomo di un territorio che funziona perché se ci sono i servizi le famiglie non sentono il bisogno di associarsi per avere consulenze, supporto, ecc.. In altre regioni, invece, sono le famiglie a doversi muovere per capire qual è il centro a cui rivolgersi, lo specialista da cui andare. E in questi contesti associarsi diventa importante”.

Infine, Salbini guarda alla residenzialità: “Una bella realtà- dice- che come Aipd cerchiamo di rafforzare attraverso i percorsi di preparazione all’autonomia che proponiamo. Siamo orgogliosi sottolinea il presidente- perché il nostro modello è stato esportato al di fuori della nostra associazione, a disposizione anche di altre associazioni che non si occupano nello specifico di sindrome di Down”.

In che cosa consiste? “Formiamo degli operatori due volte all’anno, a settembre e ottobre- spiega Salbini- la preparazione all’autonomia è fondamentale perché la residenzialità si basa proprio su questo, il nostro obiettivo è fare in modo che le persone si trovino pronte a uscire dal contesto familiare. E inoltre- conclude- l’associazione ha l’importante ruolo di fare da ponte con le famiglie, aiutandole e preparandole ad accettare che il proprio figlio esca dal nucleo familiare e possa avere una vita indipendente con altri ragazzi”.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it