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Addio a Carletto Mazzone, cuore romano ma allenatore di tutti

Ha cresciuto Francesco Totti, trasformato Andrea Pirlo e rigenerato Roberto Baggio

Pubblicato:19-08-2023 17:37
Ultimo aggiornamento:20-08-2023 12:53

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ROMA – Del calcio è stato interprete, cantore, regista, ispiratore e figura fondamentale. Ma ne è stato anche attore capace di strappare un sorriso con la sua romanità schietta, quel suo accento spiccato e mai nascosto perché per lui Roma era come la mamma, guai a toccarla. Se ne è andato oggi a 86 anni Carletto Mazzone, nato a Roma il 19 marzo del 1937 a Trastevere, cuore della romanità, in ‘vicolo del Moro’, non una via qualsiasi. E sì perché quel vicolo a Roma non c’è da nessuna parte, la dicitura esatta è via del Moro, eppure esiste forse per ‘colpa’ dello storico brano ‘Er Fattaccio de Vicolo del Moro’ che Gigi Proietti, altro grande romano, rese celebre con una interpretazione da brividi.

È la stagione 1968/69 quando Mazzone, allora difensore centrale dell’Ascoli con un fisico da corazziere ma con le ginocchia fragili, è costretto a lasciare il calcio a causa della frattura della tibia sinistra rimediata durante il derby con la Sambenedettese: era il 3 marzo 1968. Il presidente ascolano Costantino Rozzi, altra figura storica del calcio italiano, gli affidò prima le giovanili e poi per due volte la conduzione della prima squadra. Proprio ad Ascoli si ritirerà a vivere.

Nel campionato seguente Mazzone, nella penultima giornata di andata, sostituì fino al termine della stagione l’allenatore Eliani; portò la squadra per la prima volta nella sua storia in testa al campionato, sfiorando la promozione. Era appena iniziata la carriera del tecnico più longevo del calcio italiano.


Da allora Mazzone ha girato l’Italia, allenando soprattutto club di provincia, ma facendo parlare per il suo calcio, mai riconosciuto però all’avanguardia (“con l’Ascoli giocavo con il 4-3-3, spesso a zona, ma nessuno se ne è mai accorto”). Nel 1993 arriva la chiamata del cuore, la chiamata di ‘mamma Roma’: il presidente Franco Sensi gli affiderà la panchina giallorossa e, indirettamente, carriera e sorti del più grande calciatore che mai ha vestito la maglia giallorossa, Francesco Totti. Lo prenderà sotto la sua ala protettiva, contribuendo in maniera determinante alla sua crescita. Come per il numero 10 giallorosso, la sua grande esperienza fu fondamentale anche negli ultimi anni di carriera di Roberto Baggio, che volle con sè a Brescia e poi a Bologna. Grazie a Mazzone, il ‘divin codino’ visse una sorta di seconda giovinezza calcistica, quando ormai sembrava avviato al ritiro.

MAZZONE SOTTO LA CURVA DEL BRESCIA SCATENATO

Proprio durante una partita in cui Baggio, con la maglia del Brescia, incantò con gol e giocate, uno dei tanti episodi del Mazzone ‘colorito’, istintivo e guidato dal cuore. Il suo Brescia era sotto 3-1 in casa nel derby contro l’Atalanta, con i tifosi di quest’ultima che avevano preso di mira il tecnico romano per tutta la partita. Dopo il secondo gol bresciano, la promessa ai bergamaschi: “Se famo er 3-3 vengo sotto la curva“. Mai promessa fu più mantenuta: calcio di punizione di Baggio in pieno recupero, gol del 3-3 e Mazzone che inizia una corsa sfrenata verso il settore dei tifosi avversari con il pugno diretto verso di loro e la più classica delle parolacce alla romana.

“Insultarono mia madre, io reagii”, dirà poi Mazzone che non volle giustificarsi, comprese pienamente il suo errore, ma solo spiegare il suo perché. “Quando l’ho visto correre sotto la curva mi sono detto ‘dove cazzo sono capitato’…”, il simpatico ricordo recente di Pep Guardiola, allora centrocampista di quel Brescia. “Mi ha aiutato tantissimo nel mio primo anno in Italia- disse ancora il tecnico spagnolo- È una persona perbene e merita il meglio”.

A conferma della stima di Guardiola per Mazzone, anche un episodio più recente, quando lo invitò alla finale di Champions League in programma allo stadio Olimpico di Roma e che il Barcellona di Guardiola vinse 2-0 sul Manchester United il 27 maggio 2009. Lo spagnolo lo chiamò a casa, a Mazzone dissero: “C’è Pep al telefono”. Il tecnico romano, incredulo, pensò ad uno scherzo: “Mi disse sono Pep, Pep, e gli dissi ‘Peppe chi?'”.

Ma Mazzone a Brescia ha allenato anche Andrea Pirlo, quello per cui disse che avrebbe ritagliato un ruolo alla Rui Costa, quindi una sorta di fantasista, salvo poi ricredersi. Dopo averlo evidentemente visto in allenamento, pensò di arretrarlo (“Vedeva il gioco prima degli altri”) trasformandolo in un grande regista. Indimenticabile l’assist da centrocampo a Roberto Baggio in uno Juventus-Brescia che finì 1-1: lancio lungo, controllo perfetto del numero 10 delle Rondinelle, finta a van der Sar e palla in rete. Cuore, simpatia, istinto, ma anche una capacità di allenare come pochi, altrimenti non si passerebbero 38 campionati in panchina, con un record da 797 partite ufficiali. Come il ‘suo’ Pirlo, anche Mazzone “vedeva il gioco prima degli altri” ma con l’anima del ‘Sor Magara’. 

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