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“Ti ammazziamo perché sei nero”. Lo psichiatra sul caso di Carnate: “Nei trapper mix di droga e disprezzo”

Mencacci: "Alla base di questi comportamenti c'è sempre l'incapacità di gestire impulsività"

Pubblicato:17-08-2022 18:43
Ultimo aggiornamento:17-08-2022 18:43

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ROMA – “Non sono deboli ma se la prendono con i più deboli. Pensano che siano dei perdenti che meritano una sconfitta. Colpevolizzano la vittima, la accusano di essere sciocca, incapace o di colore, ma il tema fondamentale è che sono indifferenti al dolore altrui. In loro non c’è mai stato un segno di ravvedimento, sono pervasi dal disprezzo verso persone con diverse connotazioni etnico-razziali. ‘Ti ammazziamo perché sei nero’, hanno detto al 41enne nigeriano i due trapper armati di coltello”. Così lo psichiatra Claudio Mencacci spiega alla Dire le motivazioni che avrebbero spinto Jordan Jeffrey Baby e Traffik a rapinare l’operaio della sua bicicletta e dello zaino. In questo scenario di violenza si torna quindi a parlare del fenomeno dei trapper.

“È storicamente associato a due condizioni- continua il medico- il rapporto con le sostanze stupefacenti – non a caso la parola Trap viene dalle ‘Trap hause’ statunitensi, luoghi di spaccio delle sostanze stupefacenti, che riportano alla mente il famoso latte+ del Korova Milk Bar nel film ‘Arancia meccanica’ di Kubric – e una istintualità basata sul disprezzo assoluto per qualunque regola e leggi altrui”.

Nel caso di Carnate l’impulsività è evidente. “I due giovani hanno commesso una rapina senza costrutto- spiega il presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf)- nelle loro azioni mancava qualsiasi pianificazione di futuro o considerazioni sulle conseguenze della propria sicurezza o di chi era oggetto della rapina”. Situazioni simili accadono anche “negli incidenti stradali, com’è stato per l’uccisione dei bambini in cui i conducenti sono in stato d’ebrezza. Ecco che l’impulsività è stimolata e mantenuta dall’uso di alcol e/o di altre sostanze stupefacenti che hanno poi delle ripercussioni sulle altre persone”.


Una buona descrizione di tutti questi fenomeni potrebbe ritrovarsi nella celebre frase dei Peanuts ‘Dove saresti se avessi fatto tutto quello che desideravi? In carcere’, “perché alla base di questi comportamenti c’è sempre l’incapacità di gestire impulsività. Tratto che si ritrova nel disturbo antisociale– continua Mencacci- che in Italia conta non poche persone: dallo 0.2 al 3%, con una prevalenza maggiore nei maschi”. Numeri importanti e destinati a crescere in “una società che si sta connotando per diventare sempre più impulsiva nelle frange giovani. Un’impulsività che oggi è supportata, alimentata e potenziata dalla tecnologia”. Infatti, il trampolino di lancio scelto dei trapper è proprio la rete. Qui cercano il riscatto sociale dalla periferia, dalla disoccupazione e da storie familiari spesso disfunzionali. La loro via d’uscita è nella musica, nel trap, in questo sottogenere di hip hop che si richiama al rap, ed è nato nel Sud degli Stati Uniti. I trapper trovano molto seguito nelle persone che cercano emozioni e rapidità. “Si chiamano emotional seekers, personalità a caccia di emozioni forti– ricorda il presidente Sinpf- c’è tutta una fetta di giovani attratti dalla rottura delle regole, dalla necessità di infrangere le norme, di andare a collocarsi in una realtà alternativa pensando di essere loro a controllarla, a darsi un’identità. Diventano a loro volta indentitari, seppur in condizioni di marginalità. Sono il trionfo della marginalizzazione, ma la platea la trovano. Abbiamo tante folle che adorano i dittatori e trovano seguiti molto pericolosi- avverte in conclusione Mencacci- perché quando si inserisce il disprezzo per la libertà poi la democrazia cambia nome, altro che trap”. 

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