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L’appello curdo non ferma la Turchia: dopo Erbil pronta la reazione

Un diplomatico turco è stato ucciso oggi in un agguato avvenuto in un ristorante di Erbil, capoluogo della regione a maggioranza curda del nord dell'Iraq

Pubblicato:17-07-2019 14:20
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:32

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ROMA – Un diplomatico turco è stato ucciso oggi in un agguato avvenuto in un ristorante di Erbil, capoluogo della regione a maggioranza curda del nord dell’Iraq: lo hanno riferito fonti di stampa concordanti, confermate dal ministero degli Esteri di Ankara. Secondo queste ricostruzioni, un commando di uomini armati ha fatto irruzione nel locale mentre la vittima si trovava insieme con alcuni colleghi.

‘Rudaw’, un portale di informazione locale, ha riferito che il ristorante dove è avvenuto l’agguato è situato lungo la strada che conduce all’aeroporto. Il contesto è quello delle tensioni legate ai bombardamenti dell’aviazione turca nel nord dell’Iraq, motivati da Ankara con la necessità di colpire basi del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica. 

L’APPELLO DI 891 INTELLETTUALI CURDI: ‘TURCHIA, BASTA BOMBE’


Ben 891 tra accademici, giornalisti, attivisti, politici e intellettuali curdi hanno siglato una lettera per denunciare a livello internazionale “la campagna militare di aggressione e occupazione condotta dalla Turchia contro il Kurdistan iracheno“, che starebbe avvenendo “nel completo silenzio della comunità internazionale”. Nel testo, diffuso dall’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia (Uiki) si legge che alla base di questi attacchi, c’è “la scusa di voler colpire il Partito dei lavori curdo”, il Pkk, considerato da Ankara un movimento terrorista. “Sebbene non sia la prima volta che le forze turche colpiscono la regione curda in Iraq – scrivono i firmatari – questa volta l’operazione di aggressione viene condotta su vasta scala”, attraverso l’uso di armamenti pesanti che causano così “morti, feriti e la distruzione di abitazioni, edifici e infrastrutture di sussistenza, in una regione in cui vivono migliaia di persone”.

Preoccupante anche il fatto che tutto questo “avviene nonostante le ripetute richieste all’esercito della Turchia da parte del parlamento iracheno e del parlamento della regione del Kurdistan di ritirarsi dal nord dell’Iraq”. I firmatari ricordano anche “la consegna al Parlamento del Kurdistan di una petizione firmata da 500mila persone della regione del Kurdistan, in cui questi attacchi vengono condannati”. Pericoloso anche il silenzio della comunità internazionale, secondo i responsabili, perché “apre la strada a una escalation di attacchi mortali nella regione”. A fine giugno, stando ai media internazionali, i raid turchi avrebbero causato la morte di almeno otto civili e il ferimento di oltre dieci persone.

L’appello – volto a chiedere sostegno sia a governi e organizzazioni internazionali, che a soggetti della società civile – si conclude con quattro osservazioni: le aggressioni della Turchia costituiscono una violazione del diritto internazionale e della sovranità della regione autonoma del Kurdistan iracheno, da un lato, e dello Stato dell’Iraq, da un altro, oltre a costituire un elemento che destabilizza ulteriormente la regione. “Alle violenze sanguinose – conclude la missiva – la Turchia dovrebbe aprire la strada al dialogo pacifico e democratico per risolvere la questione curda”.

La Turchia, denuncia l’osservatorio International Crisis Group, “bombarda periodicamente sospette cellule del Pkk nel nord dell’Iraq” per contenere le velleità indipendentiste della minoranza curda che risiede nella penisola anatolica.

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