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ROMA – Carla Baffi è nata a Roma 57 anni fa come Enzo Giagoni, un ex poliziotto con trent’anni di servizio alle spalle e un passato drammatico. Nel 2013 ha perso infatti la moglie Patrizia e la piccola figlia Morgana, di soli due anni, inghiottite mentre erano a bordo di un’automobile dalla furia dell’alluvione Cleopatra, che in quell’anno si abbatté violentemente sulla Sardegna. Cinque anni dopo, però, ha trovato la forza di cominciare il suo percorso di transizione, per diventare appunto Carla, una donna che oggi di professione fa l’attrice e porta in giro il suo spettacolo teatrale, raccontando in un monologo la sua storia. In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, la Dire l’ha intervistata.
– Carla, chiunque potrebbe pensare che quell’evento così drammatico abbia influito nella sua scelta di cambiare sesso. È così?
“Non è assolutamente così, per me è fondamentale chiarire questo punto: Carla esiste dal 1972, quindi da molto tempo prima che accadesse quel tragico evento. Già all’età di 7 anni avevo la certezza di non essere il bambino che vedevo allo specchio. Mi sentivo già diversa, in contrasto con il mio nome maschile”.
– Rimpiange mai di non aver lasciato ‘libera’ Carla prima di cinque anni fa?
“Sì, mi capita di pensarci e di confrontarmi con altre giovani donne che, come me, stanno affrontando questo percorso. A volte mi chiedo: ‘E se lo avessi fatto prima?’, ma poi penso che non avrei vissuto dei momenti meravigliosi della mia vita, come avere due splendide figlie e dei rapporti importanti con donne che sono state fondamentali per la mia crescita. Quindi senza dubbio era questo il momento giusto per affrontare il mio percorso ed essere finalmente me stessa”.
– In passato ha avuto rapporti sentimentali con diverse donne. Erano a conoscenza di questa sua personalità?
“Da questo punto di vista mi devo dare merito, perché con tutte ho voluto fin dall’inizio affrontare il discorso e ‘mettermi a nudo’, svelando la mia identità al femminile. Era giusto che io fossi corretta con loro, per me era importante farlo”.
– Ma ha trovato tutte donne comprensive?
“No. Nel corso della mia vita ho avuto rapporti importanti con quattro donne e non tutte hanno sopportato la presenza di Carla nella loro esistenza; qualcuna l’ha prima accettata ma poi rifiutata, qualcun’altra invece non l’ha mai tollerata, fin dall’inizio. L’unica donna con la quale potevo sempre essere Carla, in qualsiasi momento, è stata la mia povera Patrizia. Lei è stata il rapporto più importante della mia vita”.
– Lei ha anche una figlia grande, Michela, che ha 31 anni e vive in un paese vicino a Olbia. Che rapporto ha con lei?
“All’inizio del mio percorso ho voluto affrontare il tema con tutta la mia famiglia, quindi con mia mamma, mio fratello, le mie sorelle e ovviamente anche con mia figlia. La prima frase che mi ha detto è stata: ‘Se sei felice tu, lo sono anche io’. Poi ha cambiato idea, probabilmente influenzata dal piccolo paese della Sardegna in cui vive, ma credo soprattutto mossa dalla responsabilità di essere lei stessa mamma di due figli, un maschietto ed una femminuccia. Il mio primo nipotino, in particolare, prima ha conosciuto nonno Enzo, poi si è ritrovato di fronte ad una persona che stava cambiando. Mia figlia era spaventata da questo e temeva che il bambino potesse subire un trauma; poi però ha visto che, come tutti i bambini, anche il suo viveva serenamente le trasformazioni, così si è tranquillizzata. Ora abbiamo un bel rapporto, ci vediamo spesso, ma non sempre perché lei abita a 35 chilometri di distanza da me. Quando stiamo insieme gioco con i miei nipoti con serenità, sia da parte mia sia da parte loro”.
– Restando sulla sua storia, lei ha avuto la fortuna di avere due mamme, una biologia ed una adottiva. Loro come hanno reagito?
“Sono stata adottata all’età di due anni e la mia mamma adottiva è venuta a mancare quasi trent’anni fa; poi c’è la mia mamma biologica, Teresa, che ho ritrovato molti anni fa, oggi ha 91 anni e vive a Roma. Quando ho iniziato il mio percorso di transizione, in un centro specializzato che si trova proprio nella Capitale, ne approfittavo per stare da mia mamma. Lei lavava il mio intimo e i miei indumenti, non era facile per lei ma faceva finta di nulla, perché mi voleva e mi vuole bene. Ricordo che una volta mi disse di aver stirato un mio maglione bianco, ma le risposi che in realtà quello era un vestito, allora si arrabbiò moltissimo: ‘Ma vai in giro con il fondoschiena di fuori?’. Mia mamma è una donna eccezionalmente intelligente, anche se da qualche tempo, forse complice qualche problema di salute, mi ha confidato che non riesce proprio a vedermi come donna perché lei ha partorito un figlio maschio”.
– Per anni lei è stata un poliziotto. Perché oggi non lo è più? Pensa che la polizia sarebbe pronta ad avere Carla tra le sue file?
“Per questioni legate all’alluvione e per il trauma subito in quella tragedia, intanto, sono stata riformata dall’ospedale Medicale di Cagliari. Ma questo nulla aveva a che fare con la mia identità, anche perché ‘Carla’ ancora non era pubblica come persona. Alcuni colleghi e amici, però, mi hanno più volte chiesto se fossi stata pronta ad affrontare il percorso stando in polizia. E la riposta è stata ‘sì’, anche perché forse sarei riuscita a creare un primo precedente di transizione all’interno delle forze di polizia; probabilmente sarei stata allontanata, riformata in ogni caso, ma lo avrei fatto. E, mi perdoni la battuta, ma mi chiedo sempre: ‘Chissà come sarei stata con la gonna della polizia di Stato!'”.
– Oggi cosa fa Carla?
“Una cosa bellissima: dopo un’intervista, un regista teatrale di una compagnia sarda mi propose di scrivere a quattro mani un copione, sotto forma di monologo, e di rappresentare la mia vita in scena. Ed io oggi faccio questo, che è diventata la mia passione ma anche la mia missione, perché durante i miei spettacoli ci tengo soprattutto a lanciare un messaggio: tutte le persone come me devono pensare che se ce l’ha fatta Carla, con tutto quello che ha passato, forse ce la possono fare anche loro ad affrontare un percorso, qualsiasi esso sia”.
– È possibile in Italia vivere liberamente la propria sessualità, non solo in ambito privato, ma anche professionale?
“Ho deciso di essere Carla 24 ore su 24, per 365 giorni all’anno, quindi ho preparato un curriculum come Carla e come tale mi sono presentata. Pensavo che avrei potuto avere dei problemi, invece ormai da due stagioni, oltre a fare l’attrice, lavoro nell’ambito del turismo e della ristorazione. Quando sono andata a fare i colloqui con le società, che poi mi hanno assunta, le titolari mi hanno detto che a loro non interessava se fossi Carla o Enzo, ma solo se lavorassi bene. Forse però ho incontrato delle ‘mosche bianche’ e in Italia in effetti c’è ancora molto da lavorare su questi temi, anche perché a queste risposte positive ne sono precedute decine di negative. Diciamo che è difficile, ma non impossibile, e penso che le persone stiano cambiando”.
– Qualcuno, in queste risposte negative, è stato molto esplicito, cioè le hanno detto ‘non va bene perché…’?
“Questo non è accaduto, ma l’ho intuito, forse grazie alla mia esperienza nella polizia. Spesso ci sono molte difficoltà, persone che ti offendono, che ti aggrediscono, oppure che semplicemente non capiscono, ma tante altre per fortuna sono pronte ad accettare. Io ho avuto la forza di affrontare il mio percorso di transizione nella città in cui ho vissuto come Enzo, fregandomene del giudizio altrui. Ma devo essere sincera, qui ad Olbia sono più gli sguardi comprensivi di persone che non hanno cambiato atteggiamento nei miei confronti rispetto a quelli di chi si sente spaventato o confuso dalla mia decisione”.
– Carla, lei sta completando il suo percorso di transizione. Manca solo il cambio di generalità e l’inizio del percorso chirurgico. Ha mai immaginato come si sentirà dopo?
“Alla fine del mio percorso mi sentirò completa. Sto attendendo con grande trepidazione la sentenza per il cambio del nome e per l’autorizzazione al percorso chirurgico. Alcune mie amiche trans, che sono già avanti con il percorso, mi dicono che quando arriverà la sentenza non cambierà nulla, invece credo che cambierà tutto. Vedere sul passaporto o sulla patente il nome ‘Carla’, con accanto il sesso femminile, sarà per me fondamentale a livello psicologico, poi è chiaro che non ci saranno differenze nella vita di tutti i giorni. Sarebbe molto importante snellire alcune procedure, perché l’attesa è davvero sfiancante”.
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– Oggi è la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Quanto è vivo in Italia il pregiudizio e lo stigma nei confronti di persone che vogliono vivere liberamente la propria sessualità?
“Purtroppo è molto presente, ma quello che ho potuto appurare dalla mia esperienza è che quando esiste un pregiudizio questo è dovuto non tanto ad una cognizione di fatto, ma ad una mancanza di informazione. Sarebbe importante che le persone imparassero a capire che cos’è la disforia di genere o l’omosessualità, perché forse non cambierebbero idea ma quantomeno ne avrebbero una fondata sui fatti e sulla conoscenza. Chi offende, aggredisce o violenta una transgender, un omosessuale, un bisessuale o qualsiasi altra categoria lo fa solo perché non la conosce”.
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– Ad ottobre del 2021 il Senato ha bocciato il ddl Zan che prevedeva l’inasprimento di pene per crimini e le discriminazioni contro omosessuali, transessuali, donne e disabili. Cosa ne pensa?
“Sono rimasta molto offesa, è una brutta scena quella a cui abbiamo assistito in Senato. Personalmente penso si sia trattato solo di giochi di potere della politica. Non capisco perché non si è voluta dare la possibilità ad una persona con una diversa identità di genere di essere tutelata a seguito di una violenza. E non capisco perché l’articolo del codice penale che punisce chi usa violenza, aggredisce o offende una persona non preveda anche aggravanti per chi fa lo stesso contro chi ha un’identità di genere diversa”.
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