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Giornata contro l’omofobia, Cordova (Unipa): “Per il ‘cambio di sesso’ chirurgia complessa, informare il paziente”

Per comprendere la complessità della transizione di genere l'agenzia Dire ha intervistato la professoressa ordinaria di Chirurgia plastica dell'Università di Palermo

Pubblicato:17-05-2022 12:17
Ultimo aggiornamento:17-05-2022 14:34

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ROMA – La disforia di genere, una condizione caratterizzata da una intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso, è classificata come un disturbo medico e non psicologico che necessita di un trattamento multidisciplinare medico e chirurgico. Questo processo dovrebbe avvenire per gradi e comprendere un convalidato percorso psicologico, una preparazione sessuologica prima dell’intervento e uno specifico supporto post intervento. In Italia la Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva-rigenerativa ed Estetica (SICPRE) nel novembre 2017 ha dato vita al suo interno al Capitolo per la Riassegnazione dei caratteri sessuali per contribuire a delineare e rendere effettivamente praticabile dalle persone transessuali un percorso diagnostico-terapeutico in ambito ospedaliero pubblico.

Per approfondire il tema, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia che ricorre oggi 17 maggio, e soprattutto per comprendere la complessità alla base del percorso di ‘cambio di sesso’ l’agenzia di stampa Dire ha raggiunto telefonicamente Adriana Cordova, professoressa ordinaria di Chirurgia plastica dell’Università di Palermo, Direttrice dell’UOC di Chirurgia Plastica, direttrice del Dipartimento Assistenziale di Chirurgia del Policlinico ‘Paolo Giaccone’ di Palermo e unica donna ad essere stata presidente della SICPRE, oggi guidata da Carlo Magliocca.

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“Il percorso per la riassegnazione dei generi- dichiara la professoressa Cordova- è complesso e richiede la presa in carico multidisciplinare della persona. Va fatto un distinguo tra gli interventi di riassegnazione del sesso, cioè quelli sull’apparato genitale, rispetto a quelli definiti di ‘conferma di genere’, che incidono sui caratteri sessuali secondari. Tra i primi, quelli da maschio a femmina sono più frequenti rispetto a quelli da femmina a maschio’. Tra gli interventi di conferma di genere, continua la professoressa Cordova, ‘ci sono ad esempio quelli per la femminilizzazione del volto, la mastoplastica additiva nelle persone transgender maschio-femmina, la mastectomia nel caso femmina-maschio. Per gli interventi di conferma di genere non è necessaria l’autorizzazione del tribunale, mentre per gli interventi che incidono sull’apparato genitale, come ad esempio la castrazione definitiva, tale autorizzazione è necessaria. Il primo step è la diagnosi di disforia genere dispensata dallo psicologo o dallo psichiatra, a cui segue un percorso psicologico-psichiatrico la cui durata non è stabilita da legge. A Palermo nella mia Uoc facciamo riferimento al protocollo stilato dalla WHO che rimanda ad un programma psicologico della durata di almeno 6 mesi. Accertata la diagnosi di disforia di genere il paziente inizia il percorso farmacologico con l’assunzione di ormoni dispensati dagli endocrinologi. Un fenomeno purtroppo diffuso ancora è l’auto somministrazione. Dal 2014 con il mio gruppo di lavoro ho avviato il ‘progetto TUTTO’ per la Tutela Umanitaria dei pazienti Transessuali e Trasgender in ambiente Ospedaliero. Per questo da noi il percorso ospedaliero, che accoglie anche molti pazienti da fuori regione, prevede delle fasi ben definite: il paziente è inviato dallo psicologo, segue la visita dell’endocrinologo. Dopo il primo trattamento farmacologico seguono altri colloqui sia con gli psicologi sia con noi chirurghi ed eventualmente segue la fase chirurgica, previa autorizzazione del tribunale, sui caratteri sessuali (come la castrazione, che è definitiva) e quelli di conferma di genere”.

IN COSA CONSISTE LA CHIRURGIA E COME ‘FUNZIONA LA ‘NEOVAGINA’ E IL ‘NEOFALLO’

“La grande maggioranza delle pazienti sono geneticamente maschi ma sentono di appartenere al genere femminile. È importante far comprendere a coloro che vogliono cambiare sesso- spiega Cordova- che l’intervento consiste nella castrazione, asportazione dei corpi cavernosi e nell’accorciamento dell’uretra. Quindi si passa alla creazione della neo-vagina e del neo-clitoride’.

I genitali ricostruiti somigliano a quelli naturali femminili ma non sono come quelli naturali. Mentre la vagina delle donne ha muscolatura intrinseca, la vagina che il chirurgo ‘riproduce’ nei maschi è un ‘buco’ situato tra vagina e retto nel quale viene inserita chirurgicamente la cute del pene e che per tutta la vita tenderà a chiudersi. Perciò per tenere divaricata la neo-vagina la paziente deve avere rapporti frequenti e usare il divaricatore e tutore. Un altro problema è quello rappresentato dalla sensibilità erogena- spiega ancora la professoressa ordinaria di Chirurgia plastica dell’Università di Palermo- raggiungere il piacere sessuale può essere più complesso e difficile. La maggior parte dei pazienti sono contenti dopo l’intervento ma è bene spiegare davvero tutto, per ridurre eventuali elevate aspettative. Per molte persone questo tipo di intervento è fondamentale perché non riescono a sopportare di avere il pene. Ad esempio avevo una paziente che si costringeva in lingerie molto stretta e inseriva il pene all’interno della piega interglutea; ottenere grazie alla chirurgia un aspetto della vulva femminile contribuisce a rendere i soggetti transgender più conformi alla propria personalità’. “L’intervento da femmina a maschio- prosegue l’esperta- è ancora più difficile perché la falloplastica è un intervento molto complesso e il pene ricostruito non ha la stessa funzionalità e sensibilità di un pene normale. Infatti successivamente è necessario inserire una protesi. È evidente la complessità di queste chirurgie, che a volte necessitano di correzioni successive e perciò è veramente fondamentale spiegare tutte le dinamiche al soggetto e garantirgli un supporto psicologico anche dopo l’intervento”.

CENTRI RICONOSCIUTI DAL SSN

“I centri riconosciuti dal Ssn sono localizzati in alcune regioni e si trovano a Palermo, Roma, Trieste, Torino e Bergamo. Per quanto riguarda il centro di Palermo posso dire che io e la mia equipe effettuiamo all’incirca 35/40 interventi su transessuali che riguardano sia la trasformazione di sesso che di conferma di genere. Peraltro stiamo diventando centro di riferimento di femminilizzazione del volto’.

La lista d’attesa ad oggi ‘ammonta a 50 persone, direi non moltissime- fa sapere la specialista- a Palermo siamo un centro di chirurgia plastica generale quindi abbiamo in carico non solo i transessuali ma soprattutto trattiamo i pazienti con i traumi, i tumori ecc, anche se cerco di lasciare almeno un posto a settimana ai pazienti transessuali”, ha aggiunto Cordova.

I RISCHI CHIRURGICI DEL CAMBIO DI SESSO

“I rischi sono gli stessi della chirurgia generale– precisa l’esperta- e quindi le infezioni, gli ematomi, le emorragie etc., ma le complicanze generali legate alla trasformazione chirurgica maschio/femmina sono le fistole vaginali o con il retto, con l’uretra, con conseguente emissione di feci attraverso la vagina, evenienza che riguarda il 3- 6 % dei casi. Più rara è la fistola tra la vagina e l’uretra. Inoltre la cute del pene usata per creare la neovagina può andare in necrosi o tende a chiudersi perché la paziente non riesce ad effettuare correttamente le dilatazioni con i tutori e le dilatazioni sono indispensabili e vanno effettuate per tutta la vita. Oltre i rapporti frequenti la paziente deve mettere il tutore 3 o 4 volte al giorno. Oggi sta prendendo piede l’intervento di vaginoplastica utilizzando un tratto d’intestino, più invasivo del classico intervento finora descritto ma che sembrerebbe creare meno problemi di stenosi della vagina. Naturalmente questi tipi d’interventi sono effettuati a seguito di anestesia generale e richiedono almeno 7 giorni di convalescenza. Nel caso dell’intervento femmina/maschio il tempo di degenza è ancora più lungo”.

DIMISSIONE E RIENTRO A CASA: REGOLE DA SEGUIRE E I FARMACI DA ASSUMERE

“La maggior parte dei farmaci da assumere sono dispensati dal Ssn specialmente se si tratta di pazienti che si trovano all’interno del percorso ospedaliero. Il paziente post intervento torna a casa ma, nel caso di transizione da maschio a femmina è importante che effettuino una corretta dilatazione della vagina, adottino una buona igiene vaginale e mettano il tutore. Nella falloplastica i pazienti non devono fare nulla e dopo 6/12 mesi si sottopongono a intervento di inserimento protesi, per rendere il pene idoneo alla vita sessuale. Una domanda, direi la prima che mi viene rivolta, è quando potrò fare l’amore dopo l’intervento? Nel primo mese successivo alla chirurgia è indicato evitare i rapporti sessuali perché la neo-vagina deve essere tutelata dallo stress della penetrazione”, fa sapere la professoressa.

L’IMPORTANZA DI UNA DECISIONE PONDERATA E LIBERA

“È bene riflettere attentamente sul percorso e le finalità della transizione. Una mia paziente transessuale da uomo si è sottoposta all’intervento per diventare donna (mentre il suo compagno era una donna che si è sottoposta ad un intervento per diventare uomo), ma si è pentita dopo l’intervento. Avrebbe voluto riavere il suo pene e si è messa in lista per eventuali trapianti. Ne abbiamo parlato moltissimo ma è un intervento che non è possibile fare. Non si torna indietro. Questa paziente ha dichiarato che c’è una gradualità nell’essere transessuali e di stare meglio con la mastoplastica additiva, vestendosi da donna, truccandosi, ma con il suo pene. Questa storia mi ha introdotto a questo concetto di gradualità nella transessualità e forse i pazienti è su questo che devono riflettere bene prima di intraprendere una strada così difficile sia fisicamente che psicologicamente. Non devono subito andare verso la chirurgia, ma comprenderne i rischi e prima di sottoporsi all’intervento e comprendere cosa vogliono profondamente”.

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