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Il 2024 anno record per la democrazia: 76 i Paesi chiamati al voto

Almeno due miliardi le persone chiamate alle urne per una cinquantina di appuntamenti elettorali. Tra i più attenzionati quelli di Russia, Unione Europea e Stati Uniti

Pubblicato:15-03-2024 11:29
Ultimo aggiornamento:16-03-2024 19:03

2024 anno record democrazia
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ROMA – Il 2024 l’anno più democratico di sempre? Sembrerebbe di sì, a giudicare dai numeri: almeno due miliardi le persone chiamate alle urne in 76 Paesi attraverso una cinquantina di appuntamenti elettorali. Oltre mezzo miliardo di persone solo tra Russia, Unione Europea e Stati Uniti, dove rispettivamente sono registrati 114, 400 e 160 milioni di aventi diritto. Si è cominciato il 12 gennaio col Pakistan, dove si sono affermati candidati sostenuti da Imran Khan, ex premier attualmente in carcere e si è continuato il giorno successivo con Taiwan, che alla presidenza ha ora un nazionalista che promuove l’indipendenza dalla Cina. Poi è toccato il 28 alla Finlandia, che dopo anni di governi socialdemocratici ha virato a destra. Il 4 febbraio è stato il turno di El Salvador, dove è stato confermato alla guida dello Stato Nayib Bukele. Il 25 ci sono state le parlamentari in Bielorussia e in quel giorno avrebbe dovuto votare anche il Senegal (poi il presidente Macky Sall ha stabilito un rinvio al 24 marzo).

Il primo di questo mese si sono aperti i seggi in Iran, dove a vincere è stata anche l’astensione, e il 10 in Portogallo, un altro Paese Ue passato alla destra. Stanno votando proprio in questi giorni i cittadini della Russia, un Paese con 12 fusi orari, da San Pietroburgo a Vladivostok. Vladimir Putin si ricandida alla guida e secondo gli analisti vincerà il suo quinto mandato, sebbene sulla stampa occidentale, dall’offensiva in Ucraina del febbraio 2022 in poi, ci sia stato chi lo ha dato più volte per malato o addirittura in punto di morte.

OTTO PAESI NON HANNO I REQUISITI PER UN VOTO DEMOCRATICO

Otto tra i Paesi più popolosi al mondo non hanno superato tuttavia l’analisi dell’Intelligence Unit dell’Economist, secondo cui anche gli Stati Uniti, oltre a Messico, Russia, India, Bangladesh, Brasile, Indonesia e Pakistan, non rispettano i requisiti essenziali per un voto libero e democratico. Gli Stati Uniti, appunto, sono al 29esimo posto – tra Malta e Israele – uscendo dal ranking delle nazioni a “democrazia piena”. Se nelle cinque categorie analizzate in quella “processo elettorale/pluralismo” hanno ottenuto il punteggio migliore (9,17 su 10), gli Stati Uniti sono “bocciati” nella “cultura politica” (6,25 punti) che misura il sostegno alla democrazia. Come tutto questo influenzerà il voto del 5 novembre sul 60esimo inquilino della Casa Bianca? Difficile dirlo ma intanto il ritiro di Nikki Haley ha spianato la strada alla candidatura di Donald Trump per i repubblicani e il suo ritorno sembra possibile per più di un diplomatico: il governo giapponese ha già mobilitato ambasciate e consolati per “monitorare tutti gli scenari”. Per i democratici si ripresenta invece Joe Biden, 78 anni, al motto di “fatemi finire ciò che ho iniziato”.


Un altro Paese fondamentale per gli equilibri globali e bocciato dall’Economist è l’India, con 968 milioni e 800mila votanti confermati dalla Commissione elettorale nazionale. Le date esatte del voto saranno annunciate domani. Anche qui si ricandida comunque un nazionalista, il primo ministro Narendra Modi, già dato nei sondaggi per super-favorito in vari Stati federali. Il suo principale avversario sembra però essere l’intelligenza artificiale, a giudicare dal diktat che il governo ha lanciato a piattaforme social e aziende specializzate affinché non diffondano tool e prodotti “poco testati” e “inaffidabili” o che generano risposte che “minaccino l’integrità del processo elettorale”.

Torniamo in America. Cento milioni di elettori andranno alle urne il 2 giugno per le presidenziali in Messico, con un record particolare. Per la prima volta nella storia del Paese centramericano si sfidano infatti due candidate: l’ex sindaca di Città del Messico Claudia Sheinbaum Pardo e l’ex senatrice Xochitl Galvez. Nel mondo, oltre alle elezioni generali, si terranno però anche tante tornate legislative o locali, come in Germania, Italia, Belgio, Irlanda, Austria, Turchia, Canada e le già citate India e Brasile.
Dal 6 al 9 giugno invece si voterà anche per rinnovare il Parlamento europeo. Sull’appuntamento convergeranno confronti e scontri su tanti temi: il Green Deal e i cambiamenti climatici, la Politica agricola comune all’indomani delle “proteste dei trattori”, la proposta di formare un esercito europeo dopo anni di guerra in Ucraina; poi ancora i rapporti con Nato e Russia, il conflitto in Medio Oriente e nella Striscia di Gaza, l’intelligenza artificiale, l’approvvigionamento energetico e la sfida delle migrazioni.

Quest’ultimo punto in particolare è caro al governo britannico del primo ministro Rishi Sunak, che spesso cita Margaret Thatcher e punta sulla stretta agli arrivi irregolari dal canale della Manica. Focus anche su misure per rilanciare l’economia, piegata prima da Brexit e poi da Covid, che però non sembra stiano convincendo. Il mandato del parlamento scade il 19 dicembre ma ancora non è stata fissata una data per il voto: possibile si slitti in realtà al 2025. Intanto la ex premier Theresa May ha fatto sapere che non intende ricandidarsi, perché “troppo impegnata” e quindi incapace di dedicare il giusto impegno che “l’incarico e gli elettori richiedono”. Forse è l’indizio che più di altri conferma il rischio di una sconfitta dei “Tories”, paventata dai sondaggi. Dopo quasi 15 anni potrebbero tornare i laburisti. Si vedrà: è la democrazia, bellezza.

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