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La storia di Al-Mustapha, profugo siriano in Turchia: “Onu fermi le deportazioni”

La testimonianza alla Dire dopo undici anni di arresti e uccisioni

Pubblicato:15-03-2022 14:10
Ultimo aggiornamento:15-03-2022 14:10

Al-Mustapha
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ROMA – “Passo le mie giornate da solo, chiuso tra quattro mura aspettando che là fuori la giustizia internazionale si occupi del mio caso. Ma la mia causa alle Nazioni Unite non rappresenta solo me, ma dà speranza a tutti i profughi siriani che in Turchia vivono nella paura di essere deportati da un momento all’altro con la forza in Siria, dove rischiamo di essere arrestati, torturati o uccisi”.

Anas Al-Mustapha è un rifugiato siriano e con l’agenzia Dire comunica telefonicamente senza poter chiarire “per ragioni di sicurezza” in quale città della Turchia si trovi. Al-Mustapha si trova infatti in una condizione di “profugo” e “ricercato”, per essere tornato in Turchia dopo che le autorità lo avevano rimpatriato in Siria.  Da allora, l’uomo non lascia più il suo appartamento: se la polizia lo dovesse individuare, lo potrebbe riportare nel suo Paese.

Tutto ha avuto inizio nel 2020: nonostante fosse in possesso dei regolari documenti, degli agenti, racconta Al-Mustapha, si presentarono nella sua casa di Konya – città nel centro del Paese – per arrestarlo. In commissariato, l’uomo riferisce di essere stato costretto a firmare un documento per il “rimpatrio volontario” verso la Siria, una pratica che diversi avvocati e difensori dei diritti umani denunciano da tempo e che violerebbe la Convenzione internazionale sui rifugiati che garantisce protezione per chi fugge da guerre o persecuzioni. Dopo qualche giorno, un pulmino privo di insegne avrebbe portato lui e altri profughi a Idlib, città controllata da milizie e insicura tanto quanto la sua Aleppo, che Al-Mustapha era stato costretto a lasciare nel 2016 alla volta della Turchia, per sfuggire a mesi d’assedio dell’esercito siriano sostenuto dalle forze militari russe.    


Il resoconto di Al-Mustapha si interrompe per ricordare che oggi ricorre l’undicesimo anniversario dallo scoppio in Siria delle rivolte contro il governo del presidente Bashar Al-Assad, preludio della guerra civile. Quello stesso esercito comandato da Mosca, evidenzia Al-Mustapha, oggi “sta costringendo milioni di ucraini” a lasciare il loro paese. “So cosa provano- dice- non è facile perdere la propria casa, la vita che conducevi, e diventare ramingo per il mondo. Le guerre devono finire, sia in Ucraina, che in Siria, ovunque”.  

Tornando alla sua vicenda, il siriano informa che attualmente il decreto di espulsione che pesa su di lui è sospeso grazie a un ricorso che gli avvocati di Al-Mustapha hanno presentato al Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite contro la detenzione arbitraria. Stando ai suoi legali, le autorità turche contattate dal Gruppo di lavoro dell’Onu hanno negato che a carico di Al-Mustapha esistano dei reati e hanno assicurato che il rimpatrio è stato firmato volontariamente.

Il pronunciamento del Gruppo di lavoro in ogni caso dovrebbe arrivare ad aprile, garantendo ad Al-Mustapha non solo l’asilo politico – quindi il diritto di vivere in Turchia alla luce del sole, senza temere di essere respinto verso un Paese che lui stesso definisce “altamente pericoloso” – ma aprire la strada al visto d’ingresso in Italia. “Chiedo al vostro governo di accelerare i tempi” dice l’uomo, “perché una ong di Verona mi ha assunto e quindi posso e voglio venire a lavorare“.

Al-Mustapha infatti è un operatore sociale: in Turchia, prima del decreto di rimpatrio, aveva creato l’associazione ‘A friend indeed’ per garantire cibo e altri beni primari alle centinaia di migliaia di famiglie giunte dalla Siria che in Turchia faticano a trovare lavoro e arrivare alla fine del mese. “Sebbene sia costretto a restare nascosto- dice l’attivista- ancora tante vedove o donne sole mi chiamano perché non hanno da mangiare per i loro figli. Non posso uscire ma cerco di far loro arrivare pacchi alimentari”.

L’uomo condivide foto che non si possono pubblicare: mostrano i volti di bambini che stringono buste piene di cibo. “Colpendo me- denuncia Al-Mustapha- il governo turco ha tagliato il ponte che avevo creato tra la mia associazione, i donatori, le altre ong e le famiglie. A centinaia sono rimaste in difficoltà”. 

A partire dal 2015 la Turchia ha ricevuto un inedito afflusso di profughi siriani in fuga dalla guerra. Ankara da allora ha ricevuto un fondo di 6 miliardi di euro dall’Unione europea per gestire la crisi, tuttavia a partire dal 2020 sono aumentate le denunce da parte dei media e delle organizzazioni internazionali sulla pratica dei rimpatri forzati che riguarderebbero anche siriani che hanno l’asilo politico o il permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro.    

Questo avviene mentre le violenze proseguono in diverse zone della Siria, così come la crisi economica e sociale. In un villaggio nella provincia di Aleppo, la città natale di Al-Mustapha, come riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), due ragazzi di 15 e 16 anni sono stati arrestati domenica scorsa per “sedizione e incitamento alla protesta”.

Nei giorni precedenti cortei si erano svolti contro le autorità, dopo che i fornai non avevano ricevuto la farina necessaria a produrre il pane. La produzione di grano in Siria, come ha avvertito l’Onu a fine 2021, è “crollata a livelli mai visti negli ultimi 50 anni”, aggravando la situazione per il 90% della popolazione che, sempre secondo stime Onu, vive sotto la soglia di povertà.

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