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In Siria raid russi ogni giorno, Idlib torna nel mirino

Cooperante Alhamdo 'Still I rise': "Con Gaza il conflitto è dimenticato"

Pubblicato:10-11-2023 15:07
Ultimo aggiornamento:10-11-2023 15:37
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ROMA – “Da inizio ottobre registriamo ogni giorno bombardamenti dell’aviazione russa e colpi d’artiglieria dell’esercito siriano nel governatorato di Idlib. La situazione umanitaria è drammatica: sempre più famiglie tolgono i figli da scuola per l’insicurezza, gli sfollamenti o perché sono costretti a farli lavorare“. Abdulkafi Alhamdo è program manager della scuola Ma’an della onlus Still I Rise.
All’agenzia Dire riferisce che il riaccendersi degli attacchi nel governatorato nord-occidentale sta gravemente peggiorando la vita della popolazione, “già provata da quasi 13 anni di guerra“. Secondo il cooperante, “l’aumento globale dei prezzi e dell’inflazione ha fatto scivolare molte altre famiglie nella povertà, perché in Siria non si produce quasi più nulla e la maggior parte dei prodotti sono importati”. A questo si aggiunge che “in pochissimi hanno un reddito mensile”. Un monito che coincide con le stime diffuse a giugno scorso dalle Nazioni Unite, secondo cui il 90% della popolazione siriana vive al di sotto della soglia di povertà.

Quanto agli attacchi, che stanno riguardando la provincia nord-occidentale controllata dai ribelli, oltre ai media internazionali ne ha dato conferma a inizio ottobre la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria (Coi), avvertendo che il Paese sta vivendo il “punto peggiore degli ultimi quattro anni” a causa dei combattimenti. In settimana inoltre l’ong Human Rights Watch ha denunciato l’uso di bombe a grappolo da parte dell’esercito siriano, con l’uccisione a Termanin di due civili. L’organizzazione ha potuto verificare anche l’uso da parte delle forze russe, alleate di Damasco, di missili incendiari contro abitazioni private, che hanno provocato la “morte di almeno una ragazza di 13 anni e ustioni alla sorella di 11″. Secondo la protezione civile locale – i cosiddetti Caschi bianchi – i morti civili ammontano a 70 e i feriti a 338.

“Non sappiamo perché abbiano ricominciato ad attaccare”, osserva Alhamdo, “forse c’è un accordo con la Turchia“, che dal 2020 controlla di fatto gran parte della Siria nord-occidentale. Il cooperante aggiunge: “La cosa incredibile è che dopo quasi 13 anni di guerra siamo talmente abituati che ci preoccupiamo anche quando non si registrano più raid”.


Alhamdo solleva il nodo degli aiuti umanitari, che in quest’area arrivano dal valico di Bab Al-Hawa, al confine settentrionale tra Siria e Turchia. Ad agosto le Nazioni Unite sono riuscite a raggiungere un accordo di sei mesi per l’utilizzo del valico col governo del presidente Bashar Al-Assad. Quest’ultimo si era opposto all’ingresso di convogli umanitari nella regione che sfugge al suo controllo, ma da cui passa circa l’85% degli aiuti umanitari che le Nazioni Unite inviano nel nord-ovest. “Qui- avverte il cooperante- la stragrande maggioranza della popolazione dipende dagli aiuti”.

Alhamdo è program manager della Scuola di emergenza e riabilitazione Ma’an, che in arabo significa “insieme”, nella città di Ad-Dana, una quarantina di chilometri a nord di Idlib, regione che oltre a subire gli effetti diretti della guerra accoglie anche molti sfollati interni. La scuola fornisce istruzione gratuita e di qualità a 80 studenti – tra cui 40 ragazze e 40 ragazzi – e supporto alle famiglie. “Altre scuole stanno registrando l’abbandono scolastico, ma non la nostra- assicura il referente della onlus- proprio perché diamo aiuto anche alle famiglie. Garantiamo ai ragazzi pasti regolari e forniamo kit igienici per prevenire le malattie causate da freddo, scarsa alimentazione e collasso del sistema igienico-sanitario”.

La nuova campagna di attacchi sembra coincidere con l’escalation di violenze nella Striscia di Gaza. “Quella guerra ci tocca in tanti modi” sostiene Alhamdo. “Si riducono ancora gli aiuti e inoltre fa scendere ulteriormente l’attenzione internazionale sugli attacchi che subiamo. Capiamo cosa sta soffrendo la popolazione palestinese, ma qui nessuno sostiene Hamas, perché siamo sempre contro l’oppressione e la violenza a prescindere di chi la commetta, compresi gli eserciti di Russia, Stati Uniti oppure Israele”.

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