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‘Quarantine Queen’, tra i giovani cresce la fascinazione per il drag

Il mondo drag tra protesta e sottocultura nel libro di Eleonora Santamaria

Pubblicato:15-03-2022 10:44
Ultimo aggiornamento:15-03-2022 10:44

copertina libro drag santamaria
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ROMA – Parodia dei generi, sottocultura, protesta, politica e poi trucco esagerato, lustrini e parrucche. Cos’è una Drag queen? Un uomo che si traveste da donna per motivi artistici? No. La drag culture è camp, è glamour come Bowie, pop come Madonna o Lady Gaga. Dirama nelle radici della politica e della storia. Drag è molto di più, è linguaggio, è libertà, amore per l’innaturale e l’esagerazione, ‘una sensibilità che è quasi ma non del tutto ineffabile’. Possiamo pensarlo oggi all’interno delle questioni di genere, ma non circoscritto lì. Si presenta così ‘Drag, storia di una sottocultura’, il libro edito da edizioni dell’Asino di Eleonora Santamaria. Giovane ricercatrice, laureata in Filosofia alla sua seconda pubblicazione, racconta all’Agenzia Dire un mondo oggi sempre più nel mainstream di programmi tv, ricco di contraddizioni e sfumature.

Il saggio nasce da una tesi di laurea magistrale e colpisce per ‘la sua baldanza quasi temeraria’ dice Emiliano Morreale. “Ho conosciuto una persona che per farsi licenziare si è messa del make up: un gesto teatrale che mi ha colpito, così dopo la laurea in Filosofia, mi sono appassionata al drag, scoprendo quanto in profondità si potesse andare. Il drag rappresenta qualcosa che è in me, in primis il non prendersi troppo sul serio, il lavoro è un’analisi transdisciplinare del fenomeno“. Ma cos’è il drag? “E’ uno spettacolo di inversione e parodie dei generi sessuali che ha però implicazioni filosofiche politiche e sociali, legate al storia della comunità LGBTQ+ ma soprattutto ragioni storiche molto profonde- spiega la ricercatrice- il drag critica l’idea di genere ma non c’è una vera e propria parodia del femminile in quanto tale, il rapporto è molto più complesso, nasce all’ombra di una contraddizione, da un lato affascina, dall’altro intimorisce, in un equilibrio delicato”. Quindi, “le ballroom, la peculiarità italiana, il rapporto con il femminismo e il mondo omosessuale all’interno di un contesto affascinante e nebuloso allo stesso tempo in cui il sogno urta con la realtà e il ludico si tinge di tragico”.

Il drag queen raccontato e studiato per la prima volta, “tra passato e presente, con figure reali e immaginarie, in una sorta di albo concettuale in cui ogni forma è simbolo di un aspetto; il rapporto con la militanza, le radici antropologiche, la sessualità, il pop. Un rimescolare le carte all’interno delle teorie femministe del cinema e delle arti che attraverso uno sguardo politico e rivendicativo rischiano a volte di tornare ad un essenzialismo poco problematico”, scrive del libro Morreale, esaltando la capacità della giovane scrittrice di rappresentare un movimento di estetizzazione “del sé e del mondo, provocatoriamente impolitico ma che finisce per avere conseguenze politiche e si deve muovere con difficoltà tra rivendicazioni. Spesso malvisto dagli omosessuali, dai gay e dalle femministe; in fondo il drag è irrivendicabile politicamente perché col suo essere performance totale rifiuta ogni essenzialismo, nudi siamo venuti su questa terra il resto è drag performance recita RuPaul. L’importante è vivere con stile, tutto a cavallo tra etica ed estetica. Siamo tutti travestiti da noi stessi e il meglio che si possa fare è portare fino in fondo la responsabilità del proprio essere al mondo di quella maschera che eriditiamo e costruiamo”. Attorno alla drag culture quindi una dimensione altra, con un proprio linguaggio, una “sottocultura- precisa l’autrice- un microcosmo attorno a cui orbita una propria società con un preciso codice linguistico e una ritualità. A livello estetico il gusto del camp anni 60′ e la sensibilità per l’artificio‘, pertanto lo considero un fenomeno underground che viaggia e combatte continuamente al limite tra diventare mainstream ed essere sottocultura”. 


E proprio dal mainstream si alimenta una sorta di fascinazione rispetto al drag cresciuta soprattutto durante la quarantena tra i giovanissimi. “E’ nata una categoria che si chiama ‘quarantine queen’, si tratta di pre-adoloscenti che hanno indossato un altro genere su tiktok o sui social. Una nuova generazione- spiega ancora Eleonora Santamaria nell’intervista alla Dire- che ha avuto il tempo di esplorare se stessa. Tempo e silenzio; con questi due doni sono riusciti a scandagliare parti del sé. A casa nel mio mondo interiore riesco a pensare e capire cosa davvero e profondamente mi rappresenta. Il Drag dove risuona dentro di me nel gioco dei generi? L’estetica va oltre la semplice apparenza, ci sono livelli di complessità che diamo troppo per scontati. Esplorare la propria apparenza, indossando qualcosa o qualcuno ci parla di persone complesse in una società complessa e rompe polarizzazioni del noi e del loro. Uomo-donna non c’è una reale differenza e possono risuonare dentro di me in un modo che posso finalmente esplorare“. Ma cosa rappresenta il drag nella storia del femminismo e delle liberazioni in generale che peso ha nell’immaginario collettivo? “Rapporto è molto articolato. Ci sono state attiviste che hanno criticato il fenomeno. In realtà il drag stesso dice che è falso categorizzare uomo-donna, critica l’idea di genere, ma non è assolutamente parodia del femminile. Ci sono tantissime persone che nella storia si sono definite drag e che hanno avuto un ruolo fondamentale nei movimenti, come Silvia Rivera ad esempio, nell’estetizzazione estrema di una idea di genere”. Ma guardando all’attualità, in questa fase storica sta suscitando maggior interesse perchè “riesce ad essere il corpo le battaglie che riscaldano molto i dibattiti pubblici: ad esempio la polemica su Cristina Prenestina è stata strumentalizzate da un certo tipo di destra. Le drag- continua Santamaria- sono forma a prescindere dal messaggio che veicolano. Cristina può anche parlare di Cappuccetto Rosso, ma visto che non può essere nè donna e nè uomo, va attaccata. Altro esempio il grande volto di Stonewall era Silvia Rivera, la leggenda vuole che allo ‘Stonewall Inn’, locale gay di New York, partecipò alla ricordata in tutto il mondo con la marcia del Gay pride come l’inizio del Movimento di liberazione LGBT. Nonostante ancora oggi i racconti dell’episodio risultino contraddittori, Rivera viene citata per essere stata la prima ad aver lanciato una bottiglia contro i poliziotti che avevano già fatto numerose volte irruzione nel locale di Christopher street e lei vestiva drag”. Come sta cambiando il pubblico che avvicina al drag con la diffusione dei programmi tv e che fascinazione si sta creando attorno al fenomeno, con quali caratteristiche? “Assistiamo ad una sorte ‘disneyficazione‘ del drag, da un lato l’intento di renderlo prodotto per famiglie che parla alla nuove generazioni sfruttato nel suo potere commerciale, dall’altro diventa invece veicolo di un messaggio molto importante con un gran fondo di verità: la mia estetica ciò che appare di me non è importante, posso giocarci su, non c’è ‘natismo’, possiamo divertirci sui dogmi che sono diventati gabbie, perchè ormai il re è nudo. Tutto quello che ci rappresenta è carcere e non rappresenta più le nuove generazioni”, conclude. 

IL PERFORMER DRAG KING: ESSERE TRANS CON ‘EUFORIA DI GENERE’ 

Nel mondo drag non esistono solo le queen, ci sono anche i Kings. Come Marte Pezzatini, 27 anni attore e performer Drag King, la sua prima esibizione risale al periodo dell’università. “Il Drag King è una persona che decide di esplorare o criticare il genere maschile attraverso la performance– spiega Marte- ho iniziato a fare questo tre anni fa quando ancora mi identificavo donna, ma grazie alle esibizioni, ho avuto la cosiddetta ‘euforia di genere’, e mi sono reso conto di esser un ragazzo trans. Savage Dickson, il personaggio che interpreto una rock star che non ce l’ha mai fatta, che a tratti diventa alieno. Ora più che mai un veicolo, vettore per mostrare le mie idee performative. Il personaggio nasce da tre mascolinità: Jerry Calà, Jonny Depp e l’alieno di American Dad. Il mio drag si nutre della cultura maschista italiana, dell’uomo che anche se non è bellissimo rimorchia. Jonny Depp è un sex symbol, attore misterioso, poetico del cinema. Jerry Calà invece rappresenta il ‘non son bello, però piaccio’. Gli alieni la parte più vicina a me, l’essere diverso da tutto ciò che è ciseteronormativo, alieno e alienante. Savage Dickson viene fuori in performance di lip-sync in cui mischio, tracce pop, punk a spezzoni di film per creare un messaggio assurdo o politico. Il contenuto può variare di spettacolo in spettacolo. Porto sempre una sorta di attivismo. Mostro il mio corpo non binario e penso che mostrarlo così com’è senza pudore sia già il messaggio forte, perché i corpi non binari e trans esistono nella società e vanno esibiti, senza paura di non sembrare normale. La mia prima performance risale ai mie 23 anni, l’ultima esibizione a domenica scorsa al Caffè Letterario in una competizione di Drag, siamo alla seconda puntata, non so che a parte della classifica sono”, sorride Marte e alla domanda come vivi il tuo corpo da quando sei Drag King? “E’ un rapporto non facile- risponde- provo ‘euforia di genere’ ogni volta che mi esibisco e mi travesto da uomo. Prima avevo paura durante le performance. Credo che il personaggio in soggetti trans aiuti molto il processo di transizione. All’inizio difficile, come ad esempio nella rimozione temporanea del seno, ora invece mi sento sempre meglio. Ho accettato completamente il mio corpo nonostante la transizione prosegua e vada avanti. La performance drag in soggetti trans ti da una carica in più, una spinta che serve all’interno di un percorso serio”.

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