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Referendum, Rosati: “Basta divisioni, riforma importante e contro i populismi”

Rosati intervistato dall'agenzia Dire sul Referendum costituzionale atteso per il 4 dicembre

Pubblicato:14-10-2016 15:18
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:10

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rosatiROMA – Non nasconde la preoccupazione per le lacerazioni interne al Partito democratico e chiede di tornare agli stessi obiettivi che hanno guidato la riforma per l’elezione dei sindaci. Perché “il punto è dare più forza al voto dei cittadini”. All’indomani dell’ultima direzione del Pd, Antonio Rosati, esponente dem di lungo corso, ex consigliere capitolino ed ex assessore al Bilancio della Provincia di Roma, parla con l’agenzia Dire del Referendum costituzionale atteso per il 4 dicembre. Pur schierandosi per il ‘Sì’, lancia un monito al segretario e premier, Matteo Renzi: “Per vincere le elezioni, abbiamo bisogno di un campo largo fatto di forze moderate e anche della sinistra radicale, perché da soli non siamo autosufficienti”.

– A meno di 60 giorni dal referendum costituzionale, il Partito democratico sta vivendo una resa dei conti interna che rischia di compromettere il risultato finale. Qual e’ la sua posizione in proposito?

“Sono preoccupato. Non comprendo fino in fondo le ragioni di questa spaccatura e, cosa che più mi dispiace, ancora una volta diamo l’immagine a tanti italiani e tanti giovani di un partito costantemente e sistematicamente diviso. Non che discuta, perché questo è un grande merito, e voglio sottolineare che siamo l’unica grande forza popolare che lo fa in maniera trasparente. Ma dopo la discussione serve una sintesi di fronte agli italiani. Rispetto al merito del Referendum, credo che ci siano le condizioni perché tutto il partito possa votare Sì. Naturalmente, non può esserci un ordine di scuderie sulle riforme costituzionali, anche se dobbiamo ricordare che stiamo parlando della parte della Costituzione più amministrativa e non quella dei sacri principi, che restano tali e inviolabili. E’ una riforma importante, soprattutto in questa fase storica, caratterizzata dal distacco profondo tra governati e governanti e dall’avanzare del populismo che inevitabilmente porta a restringimenti della democrazia e, in certi casi, anche a svolte autoritarie, come ci ha mostrato la storia del Novecento”.


– C’e’ chi dice che Renzi abbia sbagliato a ‘personificare’ la consultazione legandola al suo destino politico. Che cosa ne pensa?

“Sì, lo ha riconosciuto anche lui: è stato un errore. Non ci possiamo girare intorno. È giusto metterci la faccia e impegnarsi con grande forza, perché questa è una legislatura che deve fare le riforme attese da oltre 25 anni. Ma lo sbaglio c’è stato perché ha prestato il fianco a tutti coloro che non vogliono leggere in questa riforma le possibilità di un Paese più moderno. Ma ricordo che stiamo parlando degli strumenti, non del fine ultimo della politica. Stiamo cercando di capire se questi strumenti, approvati e messi al vaglio dei cittadini, possono rendere questo Paese più solido e più giusto. Abbiamo il dovere di ridare forza e nobiltà alla politica e di ricucire e accorciare la distanza tra governanti e governati. La domanda è se queste riforme aiutano questo processo o non lo aiutano”.

– Per molti all’interno del Pd la risposta è no. Ma come si ricompone la frattura a suo avviso? Come far convivere le diverse anime del partito?

“Dobbiamo tornare alle ragioni vere per le quali noi esistiamo, perché è lì che troviamo la soluzione. E alle ragioni per cui la sinistra, già subito dopo il dibattito sulla Costituente, ha pensato di superare il bicameralismo, perché la sinistra è sempre stata per il monocameralismo. Semmai, abbiamo cercato di spingere per dare forza ai territori con il cosiddetto federalismo, che oggi si è impantanato con gli errori della modifica del Titolo V. Abbiamo sempre apprezzato la riforma dell’elezione diretta dei sindaci secondo la quale il candidato vincente ha la maggioranza del 60% del Consiglio comunale. L’obiettivo è stato, ed è ancora oggi, dare un potere in più ai cittadini e fare in modo che la gente la sera dopo il voto sappia chiaramente qual è il governo che si troverà di fronte. È qui il punto. Altrimenti l’alternativa sono i governi di coalizione che aiutano quel trasformismo italiano che negli ultimi dieci anni ha visto cambiare casacca centinaia di parlamentari. E questo dà forza ai populismi”.

– Il dibattito, però, è proprio sull’Italicum e sul famoso ‘combinato disposto’ con la riforma costituzionale.

“A mio avviso, senza un’opposizione forte e una maggioranza che governa e poi va al giudizio dei cittadini, i poteri forti, il cosiddetto capitalismo senza volto, si organizza in maniera trasversale. Per questo vedo a rischio la democrazia. E ai miei cari compagni che sono per il No, ricordo che noi con le larghe intese arrivate dopo la caduta di Berlusconi abbiamo approvato cose terrificanti, come il pareggio di bilancio in Costituzione che grida scandalo e che mi indigna. E poi la legge Fornero e il fiscal compact. Tutto questo è avvenuto col nostro consenso. E il proporzionale in Italia significa proprio tornare a quelle larghe intese che hanno permesso tutto questo. E allora dico loro: se quella riforma dei sindaci ha avuto una grande forza, perché non andare verso quella strada? Del resto, sull’Italicum si è votato per sei volte, dopo l’ultima direzione del Pd si va a ulteriori miglioramenti, ma è importante mantenere la vocazione maggioritaria e dire ai cittadini che vogliamo una legge elettorale che dia forza al loro voto. E se perderemo, ci attrezzeremo per andare all’opposizione”.

– Resta il fatto che dopo la sconfitta alle amministrative a Roma, con il Referendum il Pd rischia di perdere anche il governo nazionale. Che cosa succede al centrosinistra italiano?

“Ripeto, io sostengo il sì. Ma se vinceremo al Referendum proporremo a Renzi di attrezzarci per diventare forza di maggioranza, perché da soli non siamo autosufficienti. Fermo restando il sistema maggioritario, si deve avere in mente l’idea di un campo largo che va dalle piu’ intelligenti istanze cattoliche e moderate a quelle di una sinistra anche radicale. Il presidente del Consiglio non dovrebbe sottovalutare il recente voto amministrativo. Non è soltanto una questione locale, che pure è importantissima. Ma c’è una componente nazionale su cui Renzi dovrebbe correggere la rotta, perché questo Partito democratico non è mai nato, in particolare per le nuove generazioni. Nonostante le tante cose buone fatte da questo governo, una per tutte la legge sui Diritti civili, c’è un dato: il Partito democratico nei territori non c’è, è figlio di notabili, di capicorrente. Il potere e la forza agli iscritti è l’unica via maestra per smantellare le correnti e sbaraccare questi apparati. È importante che questo Renzi lo assuma: qualsiasi cambiamento non può prescindere dalla propria tradizione. Noi siamo una grande forza di sinistra popolare, nata dalla Resistenza, antifascista e che ha fatto della lotta per l’uguaglianza e le pari opportunità una ragione di vita. Nel suo raccontare un Paese nuovo, il premier deve tuttavia dare sempre l’impressione che il lavoro sia la più grande emancipazione di libertà degli esseri umani. Una priorità che deve andare insieme ai bisogni e ai meriti delle persone. Su queste basi, le nostre basi, costruire il partito. Ma oggi, su questo, ancora non ci siamo”.

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