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ROMA – Dalle prime sfide con Bubble Bobble e Metal Gear Solid, condivise con i compagni di classe assieme alla figurine dei calciatori, alla guida della redazione di ‘SpazioGames‘, di strada ne ha fatta. Eppure Stefania Sperandio, sarda di Villacidro, classe 1989, una laurea in Scienze della Comunicazione all’università di Cagliari e una passione sconfinata per i videogames e la scrittura, sembra non aver perso il ‘vizio’ di essere, come lei stessa si definisce, “una spaccastereotipi”, e nel febbraio 2020 conquista un altro gradino lungo la scalata della parità di genere tra gamer diventando prima caporedattrice di una delle testate leader del settore in Italia.
Di certo non una passeggiata, se è vero che, ancora oggi, il mondo e l’industria del game sembrano essere dominati da un impronta maschile – a tratti ‘machista’ – che però arretra sotto i colpi di videogiocatrici sempre più numerose, agguerrite, esigenti. E in grado di assestare più di qualche gancio anche sul fronte della rappresentazione femminile nei videogames, grazie a una narrativa sempre meno incline a strizzare l’occhio al pubblico maschile, con le pin-up Anni 90 stile Lara Croft, e più propensa, invece, ad abbracciare l’immaginario delle gamer. “Noi di ‘SpazioGames’ abbiamo un pubblico femminile in crescita anno su anno, che ha superato il 13%, una percentuale significativa se pensiamo che fino a qualche anno fa si attestava tra il 5 e il 7% dei nostri lettori, che sono esclusivamente videogiocatori- spiega all’agenzia di stampa Dire Sperandio- Se poi andiamo a guardare il mercato nel suo insieme, in base ai dati forniti da Iidea (Italian Interactive Digital Entertainment Association, ndr), le donne sono il 47% del totale dei videogiocatori tra i 6 e i 64 anni“.
In questa metà è cresciuta Stefania, che da piccola giocava con fratello e cugino, e aveva il pallino per le riviste, tanto da sviluppare anche il desiderio di scrivere di videogames. “Iniziai a farlo per caso- racconta Stefania, oggi anche scrittrice- Era l’epoca dei primi vagiti del web 2.0, le persone interagivano molto attraverso i forum, su cui io scrivevo delle recensioni amatoriali. Qualcuno ci trovò qualcosa e iniziai a collaborare con un primo sito specializzato per diversi anni”. Fino all’approdo nel 2012 in ‘SpazioGames’ – testata da oltre 2 milioni di utenti mensili unici – dove Sperandio entra come newser, per poi arrivare nel 2015 a coordinare la parte notizie e nel 2020 a guidare l’intera squadra. Percorso controcorrente per molti, in cui non sono mancati gli ostacoli, fin da bambina: “A 10 anni la maestra mi prendeva di peso e mi diceva: ‘Vai a giocare con le bambine, è strano che tu stia qui con i compagni maschi a parlare di videogiochì”, racconta Stefania ricordando un pregiudizio tutto adulto collocato “fuori dalla mia famiglia”, mentre “i bambini erano felici di giocare e scambiare le figurine con me, anche se le altre femmine non lo facevano”. E poi nelle prime esperienze di crescita professionale: “Una volta ricordo di essermi proposta per svolgere una mansione e mi venne risposto: ‘Hai tutte le esperienze e le capacità per farlo, però mi devo chiedere chi ci prenderebbe sul serio se ci presentassimo con una donna‘. Questo episodio è stato proprio un frontale con la situazione del settore, successo un bel po’ di anni fa. E per fortuna la situazione, da allora, è molto migliorata”.
Talmente tanto che il game “inclusivo” è ormai realtà: “I videogiochi sono cambiati- afferma Sperandio- Quando da piccola la maestra mi diceva di andare a giocare con le altre bambine e mi chiedevo se avessi qualcosa di strano, guardavo i videogiochi e mi dicevo che aveva ragione, perché non c’erano protagoniste femminili, se non Lara Croft, che però era più realizzata come una pin-up per attirare l’attenzione che come una rappresentazione delle giocatrici, o personaggi non giocabili, che, anzi, si mettevano nei guai e che l’eroe maschile doveva salvare”.
Un immaginario che si discosta da quello attuale, perché oggi i videogames, invece, “sono strapieni di protagoniste che mandano messaggi positivi, di coinvolgimento delle giocatrici”. Come ‘The last of us parte II’, “il gioco più premiato di sempre, scritto da una donna e con ben due protagoniste femminili”, di cui una, Ellie, è una donna lesbica, e l’altra, Abby, “tiene moltissimo all’esercizio fisico ed è lontana dall’immagine di donnina da salvare”. Entrambi “sono rappresentate in tutte le accezioni positive e negative degli esseri umani, non più mettendo in evidenza aspetti ritenuti tipicamente femminili”, sottolinea la caporedattrice, che ricorda come in fatto di gusti nei videogames “non esiste differenza di genere”. Insomma, sembrano ormai morti e sepolti i tempi di “‘Remember me’ che nel 2013 non riusciva a trovare un’etichetta di pubblicazione perché la protagonista era una donna”, mentre, nonostante “le resistenze di una parte della community”, cresce la spinta della videogames industry a far indossare ai gamer panni femminili.
Ma questo non significa che il sessismo sia sconfitto. Anzi, “mi capita di ricevere molti messaggi di giocatrici o aspiranti giornaliste del settore che mi dicono: ‘Vorrei fare il tuo lavoro, ma sono terrorizzata’- denuncia Sperandio- Sono tantissimi gli insulti che ricevo anche io in quanto donna, con parole ed espressioni che ricalcano per lo più uno stereotipo sessualizzato”. Per non parlare delle “streamer di Twitch“, prese di mira perché trasmettono “in deshabille”, ma “che non fanno niente di anomalo per la piattaforma che le ospita” e rispondono comunque “a un interesse maschile. L’insulto non deve essere sdoganato mai, nei confronti di nessuna, e se capita di essere offese in quanto donne bisogna parlarne e coinvolgere gli uomini, che devono prendere coscienza di quanto sia sbagliato questo comportamento e aiutarci ad isolare chi lo fa”. E se i videogames di domani per la caporedattrice di ‘SpazioGames’ quasi certamente saranno in ‘cloud game’, “nel futuro vorrei le videogiocatrici fossero semplicemente una parte della community in cui nessuno si interrogherà sul genere di chi gioca. Nel frattempo avremo bisogno di fare diversi pit stop per cercare di abituare i più scettici a questo tipo di visione. Voglio sperare che tra qualche anno ci arriveremo in maniera molto più solida”.
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